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Profili di preti: mons. Giuseppe Corchia

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

MONS. GIUSEPPE CORCHIA
2 aprile 1882 - 15 marzo 1965

MonsGiuseppeCorchiaĖ stato un grande parroco, unanimemente riconosciuto come il salvatore di Langhirano da una minacciata strage dei tedeschi durante la guerra. La Chiesa di Parma in quelle ore drammatiche aveva bisogno di preti forti, audaci e coraggiosi: e il Signore non ce li ha fatti mancare!

- nato a Casaselvatica di Berceto il 2 aprile 1882
- ordinato sacerdote il 26 giugno 1906
- cappellano legatario di Langhirano dal 1906 al 1915
- parroco di "Mattaleto con Langhirano" dal 1915 al 1944
- canonico onorario della Basilica Cattedrale nel 1941
- parroco di S. Sepolcro dal 1944 al 1960
- cappellano nel santuario di Montallegro dal 1960 al 1965
- deceduto a Rapallo il 15 marzo 1965

Mons. Giuseppe Corchia, nativo di Berceto, è ricordato come l'ultimo parroco di "Mattaleto con Langhirano", una realtà pastorale consolidata da secoli, che però appariva sempre più anacronistica: Langhirano era capoluogo di Comune da secoli, era molto più popoloso di Mattaleto e dopo la seconda guerra mondiale era destinato a diventare un polo socio-economico di grande rilevanza nazionale, e non solo.
Don Corchia era contrario alla separazione di Langhirano da Mattaleto. Come i suoi antecessori viveva nella vetusta e suggestiva secentesca Canonica di Mattaleto, sede parrocchiale, scendendo ogni giorno a Langhirano, che lui non ha mai trascurato. Forse aveva intuito, al di là delle motivazioni affettive (anche i preti hanno un cuore!) che ormai la separazione era una operazione tardiva e gli eventi l'avrebbero presto dimostrata inutile. Oggi la sede parrocchiale è Langhirano, ma Mattaleto è diventato una realtà urbanistica senza soluzione di continuità abitativa con Langhirano e così si è formata un'unica e inevitabile realtà pastorale.

Nella mia vita di parroco a Langhirano posso dire che quasi non passava giorno senza che saltasse fuori il nome di don Corchia: per Langhirano è ancora un mito, a motivo della sua personalità e per quello che ha saputo fare.
Appena ordinato sacerdote nel 1906 è arrivato a "Mattaleto con Langhirano" e si stabilisce nella vecchia Canonica di Langhirano con l'incarico specifico di interessarsi soprattutto del capoluogo. Nel 1915 è succeduto come parroco a don Carlo Cavalli, morto in circostanze misteriose e si è stabilito a Mattaleto.
Ma già da cappellano don Corchia aveva riempito Langhirano con le sue iniziative, che erano frutto del suo zelo pastorale e della sua intelligenza. In meno che non si dica, nel 1911, in pochi mesi, aveva costruito dietro la Chiesa di Langhirano un salone come ritrovo e laboratorio di varie iniziative pastorali, culturali e musicali. Una avventura per quei tempi veramente avveniristica! Si chiamava "Ricreatorio festivo". Oggi quella modesta ma audace costruzione è diventata tutta un'altra cosa: al suo posto c'è il Cinema Teatro Aurora, che può fregiarsi delle radici gloriose del Ricreatorio, costruito dal giovanissimo prete don Corchia.
Il Ricreatorio festivo, fatto sorgere dal nulla da don Corchia, in un certo senso merita di passare alla storia, perchè lì c'è stato il debutto di una ragazzina che poi sarebbe diventata famosa nel mondo: la langhiranese Renata Tebaldi, grande soprano e "voce d'angelo". In questo debutto la Renata (così confidenzialmente è sempre stata chiamata a Langhirano) ha fatto la sua parte nell'operetta "Il talismano di Pin", del maestro parmigiano Torricelli.

Don Corchia a Langhirano ha vissuto momenti drammatici e ha dovuto superare difficoltà pastorali non piccole.
C'era infatti un clima difficile sul piano sociale: nel 1911, alla stazione del tram c'è stata la uccisione, da parte dei Carabinieri, di quattro persone del paese che protestavano per la guerra di Libia.
Verso la parrocchia c'era freddezza e distacco, condito da miscredenza, alimentata forse dal fenomeno dei langhiranesi al seguito di Garibaldi (Faustino Tanara e i fratelli Toschi), dal mazzinianesimo e infine anche dal socialismo di primo conio. Non era diventata una moda, ma un certo numero di ragazzi cresceva senza battesimo e don Corchia è riuscito a sanare le situazioni di questo tipo e ad attirare tanti ragazzi e giovani con le più svariate iniziative: cura appassionata della istruzione religiosa e delle feste, gite, filodrammatica, giochi attrezzati in cortile, musica e canto (era un bravo musicista autodidatta). Era veramente infaticabile e creativo.

Durante la prima guerra mondiale è stato chiamato a fare servizio militare nel reparto sanità e ha dovuto abbandonare "Mattaleto con Langhirano", sostituito per quel breve periodo dal giovane prete don Giuseppe Orsi, che poi sarebbe diventato il notissimo parroco di S. Vitale in città.
Tornato dalla guerra, ha ricominciato a lavorare sodo: oltre alle tante attività già ricordate, bisogna aggiungere la diffusione della devozione a S. Giovanni Bosco per i giovani e la sua devozione a Maria Ausiliatrice, alla quale era dedicata ogni anno una grande processione.
E venne, purtroppo, anche il momento della seconda guerra mondiale, che lo ha visto protagonista, con grave rischio personale, della salvezza di Langhirano: grazie a una strategia concordata con don Giorgio Battilocchi, è riuscito a convincere il comandante tedesco a non fare rappresaglie in paese (tutto poteva succedere!) a causa della uccisione di un soldato tedesco.

Bisogna dire con franchezza che mons. Corchia non ha mai accettato dentro di sè la separazione pastorale fra Mattaleto e Langhirano e di conseguanza ha sofferto immensamente per il suo distacco da un ambiente, dove aveva vissuto il suo sacerdozio fin dal lontano 1906, quando era appena diventato prete. Ha obbedito al Vescovo Mons. Colli ed è diventato parroco di S. Sepocro in Città. Forse ormai era stanco di portare avanti gli impegni pastorali come quando era a Langhirano: a S. Sepolcro non ha vissuto un periodo felice.
C'è però un particolare di cronaca che proprio a S. Sepolcro gli ha permesso di rivivere un po' il clima di Langhirano: bastava attraversare la strada di Via della Repubblica e si trovava davanti al grande palazzo antico, sede allora del Partito Comunista. Domanda: ma questo che c'entra con un prete? Certo che c'entra, perchè questa contiguità gli permetteva di incontrarsi spesso con Giacomo Ferrari, che tutti ricordiamo come grande personaggio del Partito Comunista, ma che era suo sincero amico perchè era un langhiranese del sasso. Nel 1922 solo don Corchia aveva avuto il coraggio di nascondere Ferrari in un podere del beneficio parrocchiale, quando era ricercato dalla polizia, perchè aveva partecipato alla lotta delle barricate a Parma. In questo modo Giacomo Ferrari non gli poteva neppure impedire di impartire la benedizione pasquale alla sede del Partito Comunista. Incredibile per quei tempi!

A un certo punto, nel 1960, forse per una scelta che può configurarsi quasi come esilio volontario, ottiene dal Vescovo di trasferirsi come cappellano e confessore al Santuario della Madonna di Montallegro, con le sue due fedelissime sorelle Luisa e Maria.
A Montallegro mons. Corchia ha lasciato un ottimo ricordo di fede, di saggezza pastorale e di discernimento delle coscienze, soprattutto nelle lunghe ore di confessionale. Nel 1965 è deceduto nell'Ospedale di Rapallo e sepolto il quel cimitero.
Ma non poteva finire così! Quasi a "furore di popolo" dopo qualche anno c'è stata la traslazione della sua salma da Rapallo a Langhirano, con un funerale solenne, pieno di commozione e di riconoscenza verso questo grande parroco. E immaginate un po' chi era puntualmente presente al funerale? Il senatore ing. Giacomo Ferrari!

(da ”I miei preti....I nostri preti....” di  don Domenico Magri  2008)


Profili di preti: don Antonio Leoni

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON ANTONIO LEONI
7 maggio 1917 - 15 marzo 2003

DonAntonioLeoni

Ha lodato Dio per tutta la vita suonando, cantando e facendo cantare!
Don Leoni si è sempre servito della musica a scopo educativo, soprattutto facendo agire i ragazzi in operette musicali e, tra l'altro, rallegrando anche noi seminaristi del Minore, che venivamo chiamati ogni tanto ad assistervi. Chi non ricorda "Il talismano di Pin" del compositore parmigiano Torricelli, così spesso eseguito in quel periodo? Era il "cavallo di battaglia" di don Leoni, con i ragazzi che si esibivano nei teatrini delle parrocchie e degli istituti religiosi. Altri tempi e altri divertimenti per i ragazzi! Che forse si divertivano di più e con maggiore frutto di adesso.

- nato a Piancastagnaio (Siena) il 7 maggio 1917
- deceduto il 15 marzo 2003 a Villa S. Ilario
- ordinato sacerdote il 29 giugno 1941 a Parma dal vescovo mons. Colli
- cappellano a Ognissanti nel 1941
- addetto cappellano alla SS. Trinità dal 1941 al 1946
- cappellano presso l'istituto Mutilati di Guerra dal 1947 al 1949
- guardiacoro di 4a settimana dal 1947 al 1952
- cappellano costantiniano della Steccata dal 1952 al 1973
- cappellano Istituto Pio XII di Misurina dal 1982 al 1985
- ritirato a Lerici, poi alla Casa Comunitaria a S. Andrea Bagni, infine dal 10 giugno 1997 a Villa S. Ilario.

Non mi ricordo l'anno preciso, non mi ricordo se don Leoni era ancora in Seminario o era stato ordinato prete (1941) da poco. So che don Leoni, durante quell'estate era ospite di una famiglia amica di Calestano. Io ero un chierichetto e andavo in Chiesa a Calestano anche nei giorni feriali per servire Messa all'arciprete don Miani. Allora quasi sempre alla Messa seguiva la benedizione eucaristica con la pisside.
Don Leoni quel mattino, come sempre, era in coro accanto al vecchio armonium Tubi per accompagnare il canto e suonare in sottofondo durante il momento centrale della benedizione, quando finiva il "Tantum ergo" e tutti rimanevano in devoto silenzio.
Ma proprio in quel momento accade l'imprevedibile. Si sente distintamente un acuto sibilo, poi il rumore fragoroso di uno schiaffo (o ceffone che dir si voglia) e subito il pianto dirotto e disperato di una donna di Calestano, molto buona e piena di fede, che veniva a Messa tutte le mattine. Don Leoni, pur essendo in coro all'armonium sente anche lui e si affaccia a guardare. Tutti rimangono paralizzati e atterriti davanti a quel fenomeno strano e a quella povera donna piangente.

A furore di popolo si decise che era stata posseduta dal demonio. Non aggiungo niente altro sugli esorcismi e sul seguito di questa dolorosa e misteriosa vicenda.
Ho raccontato questo episodio, perchè questa è stata l'occasione del mio primo incontro vero con don Leoni. Ha rimarcato il nostro rapporto all'insegna di questo ricordo, veramente indelebile per ambedue.
Don Leoni era un prete dotato di grande sensibilità musicale. La musica era una sua seconda natura. Mentre ero in Seminario Maggiore e lui era consorziale in Duomo, lo ammiravo quando "gorgheggiava" il canto gregoriano, quando partecipava come solista al canto del Passio nel venerdì santo e quando saliva sul piccolo pulpito a lato del presbiterio il giorno dell'Epifania per annunciare solennemente in canto le scadenze liturgiche dell'anno appena iniziato.
Don Leoni si è sempre servito della musica a scopo educativo, soprattutto facendo agire i ragazzi in operette musicali e, tra l'altro, rallegrando anche noi seminaristi del Minore, che venivamo chiamati ogni tanto ad assistervi. Chi non ricorda "Il talismano di Pin" del compositore parmigiano Torricelli, così spesso eseguito in quel periodo? Era il "cavallo di battaglia" di don Leoni, con i ragazzi che si esibivano nei teatrini delle parrocchie e degli istituti religiosi. Altri tempi e altri divertimenti per i ragazzi!
Che forse si divertivano di più e con maggiore frutto di adesso.

Il suo curriculum parla di vari compiti di diverso tipo. Questo dimostra la sua duttilità, la sua intelligenza, la sua ricchezza di doti umane e sacerdotali e dimostra tanta docilità ad accettare le richieste che gli venivano fatte. Anche il suo bell'accento toscano lo rendeva particolarmente gradevole e simpatico a tutti.
Tutta la sua famiglia dalla Toscana si era trasferita a Parma. La sua Mamma (io non ho conosciuto il Papà) aveva cresciuto i figli, e non solo don Antonio, nei grandi valori della nostra fede. Gli ultimi anni della sua vita li ha trascorsi accanto a me in Villa S. Ilario. Si era ritirato in questo provvidenziale "rifugio" per i sacerdoti, perchè con l'età e la deambulazione era sempre più in difficoltà. Aveva un piccolo veicolo a quattro ruote che andava a batteria e così si poteva muovere autonomamente in Villa S. Ilario, magari con qualche urto non previsto nel passare attraverso le porte.
E che cosa faceva nella celebrazioni in cappella? Naturalmente suonava e cantava e......ancora suonava e cantava! La musica era l'espressione della sua fede di prete e nello stesso tempo ne era l'alimento.
La morte lo ha colto improvvisamente. Ma era pronto per incontrarsi con il suo Signore. Ed era pronto per continuare a suonare e cantare anche in Paradiso. Però c'è un problema: in Paradiso ci sarà almeno un vecchio armonium Tubi apposta per lui, perchè possa ancora suonare e cantare?

(da  ”I miei preti....I nostri preti....” di  don Domenico Magri  2008)


Profili di preti: don Igino Cerati

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON IGINO CERATI
17 agosto 1924 –  13 marzo 2000

DonIginoCerati

E perchè dovremmo dimenticare il caro don Igino Cerati?
Ha dimostrato tanta fede e determinazione per diventare prete in età avanzata: basta pensare al coraggio e allo sforzo profuso nel passare dalla vita dei campi agli studi del Seminario. Non era un prete brillante, forse qualche volta lo abbiamo snobbato, ma ha fatto la sua parte per il regno di Dio nella Chiesa di Parma: anche lui va ricordato e ringraziato.

- nato a Casola di Tizzano il 17 agosto 1924
- ordinazione sacerdotale il 14 novembre 1982
- parroco di Agna, Ballone,Villula nel 1982
- rettore del santuario di Berceto nel 1989
- parroco di Carobbio e Musiara nel 1991
- parroco di Castrignano nel 1995
- deceduto il 13 marzo 2000

Carissimo don Gino,
abbiamo iniziato insieme il cammino di formazione in Seminario per rispondere alla chiamata del Signore e servire i nostri fratelli nella Chiesa (ottobre 1976). Insieme siamo stati stati ordinati Diaconi dal vescovo Amilcare Pasini nella Chiesa dello Spirito Santo (20.12.1981). Insieme siamo stati ordinati Presbiteri in Cattedrale dal vescovo Benito Cocchi (14.11.1982).
Insieme abbiamo condiviso momenti di ministero, di aggiornamento, di serena amicizia. Oggi il nostro essere insieme con il vescovo Cesare, con tanti confratelli, con i tuoi famigliari e con tanti amici è vissuto nel dolore e nella fede, ed è per dirti GRAZIE.
Avevi i capelli grigi, quando, dopo una vita di lavoro, di dedizione in famiglia, di impegno generoso nella società, sei entrato in Seminario. Sei diventato prete con tenacia, i capelli ormai bianchi, ma con un cuore sempre giovane.
Grazie don Gino per la tua testimonianza di fede e di coraggio, per l’esempio di umiltà nel ricominciare gli studi, per la gioia di servire nella Chiesa, per la tua disponibilità negli impegni pastorali (le diverse Comunità che hai servito ne sono una conferma). Grazie per l’esemplare accettazione della malattia di cui parlavi con semplicità in un fiducioso abbandono alla volontà del Signore: è stato il tuo ultimo, prezioso servizio.
Questa mattina nelle Lodi le parole del Salmo mi hanno fatto pensare a te, a quei monti che tante volte hai salito con semplicità e purezza di cuore, fino all’ultimo colle dove sta la croce, cammino quaresimale per te già sfociato nel giubilo della Pasqua.
Ho riletto la frase che tu avevi scelto e posta nel santino della tua Ordinazione Sacerdotale: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi, che annunzia la pace, messaggero di bene che annuncia la salvezza....” (Is. 52,7).
Grazie don Gino, perchè a questa “Parola” e a questo tuo desiderio, sei stato fedele fino all’ultimo.
Tutta la nostra Chiesa ti è riconoscente. 
don Giuseppe Mattioli – 15 marzo 2000

Le mie parole di ringraziamento al termine delle Esequie di Don Gino, Castrignano, 15 marzo 2000
Cerco di immaginare e rendere parola i sentimenti del nostro caro don Gino per ringraziare mons. Vescovo Cesare e il Vicario generale mons. Ranieri, non solo per la loro presenza, ma perchè hanno seguito con amore il doloroso cammino di don Gino.
Penso che don Gino non possa non sentire una particolare riconoscenza verso i nipoti, che in queste ultime settimane non lo hanno mai lasciato solo, assistendolo di giorno e di notte, e verso i suoi parrocchiani di Castrignano, che gli sono stati tanto vicini in questi mesi di malattia.
Don Gino ha affrontato con molta dignità e molta fede la sofferenza della sua malattia, ma è stato aiutato anche da tante persone sensibili, che gli hanno dimostrato molto affetto e molte attenzioni: don Franco Guiduzzi, che ormai, se mi si permette l'espressione, si è specializzato nella cura dei sacerdoti anziani e ammalati, l'amico fraterno don Giuseppe Canetti, tutto il personale di Villa San Ilario, dei reparti ospedalieri, delle Case di Cura Piccole Figlie e Val Parma di Langhirano e della Casa protetta Val Parma di Langhirano. E non vanno dimenticati tanti sacerdoti, che si sono avvicendati al suo capezzale per una visita, una preghiera e una parola di conforto. Consentitemi di dire che è soprattutto così che il Presbiterio diventa una realtà e non rimane una sterile teoria disegnata a tavolino.
Naturalmente meritate uno speciale ringraziamento voi tutti, qui presenti al funerale di don Gino: i sacerdoti, il sig. sindaco di Langhirano sen. Antonio Vicini, i parrocchiani di Castrignano, gli amici della sua terra natale e delle parrocchie dove lui ha svolto il suo generoso ministero sacerdotale: nel Cornigliese, nel tizzanese e a Berceto come rettore del santuario.
Grazie ancora a tutti!

(da ”VESCOVIPRETISUOREAMICI” don Domenico Magri   Prima edizione – 2008 - Likecube)


Profili di preti: mons. Evasio Colli

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

MONS. EVASIO COLLI
9 maggio 1883 –  13 marzo 1971

MonsEvasioColli

Mons. Colli è stato un grande vescovo per Parma, quando per Parma era necessario avere un vescovo grande. La stagione drammatica coincisa con gli anni del suo episcopato a Parma esigeva proprio un vescovo così. E lo abbiamo avuto!
Mons. Evasio Colli era arrivato a Parma nel 1932, dopo cinque anni di episcopato ad Acireale, accolto con entusiasmo dalla popolazione, come dicono le cronache del tempo, ma con l'impegnativa missione di succedere al santo vescovo Guido Maria Conforti. Tra il serio e il faceto diceva spesso che per lui era un'impresa troppo ardua essere il successore di un vescovo santo come mons. Conforti.

- nato a Lu di Casale Monferrato il 9 maggio 1883
- laureato a Roma in diritto canonico e civile, in teologia e filosofia
- ordinato sacerdote il 5 novembre 1905
- insegnante nel seminario di Casale Monferrato
- parroco di Occimiano dal 1915 al 1927
- vescovo di Acireale dal 1927 al 1932
- vescovo di Parma dal 1932 al 1971
- nel 1939 direttore generale dell'Azione Cattolica Italiana
- deceduto a Parma il 13 marzo 1971

Intervento al Convegno su mons. Evasio Colli, palazzo del Vescovado 14 marzo 2011
Mons. Colli è stato un grande vescovo per Parma, quando per Parma era necessario avere un vescovo grande. La stagione drammatica coincisa con gli anni del suo episcopato a Parma esigeva proprio un vescovo così. E lo abbiamo avuto! mons. Evasio Colli era arrivato a Parma nel 1932, dopo cinque anni di episcopato ad Acireale, accolto con entusiasmo dalla popolazione, come dicono le cronache del tempo, ma con l'impegnativa missione di succedere al santo vescovo Guido Maria Conforti. Tra il serio e il faceto diceva spesso che per lui era un'impresa troppo ardua essere il successore di un vescovo santo come mons. Conforti.

Ho ricevuto la Cresima da lui a Calestano, mio paese natale: ma di questo evento sacramentale non conservo nessun ricordo, se non la mia foto di bambino di sei-sette anni, vestito da mia mamma alla marinara, come usava allora.
Invece ho cominciato a ricordare tutto di lui da quando sono entrato in Seminario nell'ottobre 1941.
Quando c'erano in Cattedrale le celebrazioni con il vescovo, le classi dei seminaristi del Minore partivano a piedi da via Solferino per riempire il transetto destro: che impressione e che suggestione per me, piccolo seminarista venuto da Calestano, l'ambiente sacro che a me sembrava immenso e la solennità dei riti, con un vescovo così maestoso e solenne!
L'ho visto da vicino per la prima volta in seminario Minore il giorno di Ognissanti 1941. Era arrivato scuro in volto a rendersi conto dell'incidente occorso ai seminaristi di V ginnasio, per fortuna e miracolosamente senza conseguenze gravi per le persone: il pavimento davanti al camerone, appena tornati dal Duomo, era crollato sotto i loro piedi e si erano ritrovati sul pavimento sottostante!

Io non sono in grado di raccontare tutte le ansie del vescovo Colli per i preti e per la popolazione della Diocesi durante la guerra. So che sono stati tanti i suoi interventi, almeno per limitare i danni: bombardamenti (seminario Maggiore colpito nel lato sud), rastrellamenti tedeschi e deportazioni in Germania di intere popolazioni maschili dei paesi, lotta partigiana con tante inevitabili vittime negli scontri armati e feroci rappresaglie dei tedeschi fra la popolazione civile. Il vescovo ovviamente è stato particolarmente vicino ai suoi preti e seminaristi adulti, ottenendone il rilascio quando venivano essi pure presi per essere deportati in Germania o in pericolo di essere fucilati perchè accusati di favorire la lotta partigiana.
Ricordo con precisione una celebrazione in Duomo a guerra avanzata. Il vescovo, parlando "con il cuore in mano", aveva confidato con tono drammatico di aver convinto il Papa Pio XII a lasciarlo a Parma.
Era direttore generale dell'Azione Cattolica Italiana e il Papa desiderava avvicinarlo a Roma (mi pare come vescovo di Perugia) in previsione degli sviluppi della guerra. Ancora oggi ricordo benissimo il tono commosso con il quale il vescovo mons. Colli ha detto che non se la sentiva di abbandonare la Diocesi, a lui tanto cara, in momenti così difficili e turbolenti. La sua commozione aveva contagiato tutti i fedeli presenti, stupiti per questa "confessione" pubblica del loro vescovo.

Nell'arco di tempo del suo episcopato a Parma, mons. Colli ha saputo mettere in opera tutta la sua forza propulsiva di guida pastorale della Diocesi.
Si può applicare a mons. Colli la frase ben nota che recita così: "un uomo solo al comando"? Penso di sì. Ma allora non era ancora maturato quello spirito di collegialità conciliare, che stenta perfino oggi ad affermarsi compiutamente. E poi la sua forte personalità, la sua superiore intelligenza e visione delle cose spiega un po' la sua tendenza a decidere da solo.

Mons. Colli ha saputo tenere sotto pressione tutta la Diocesi nelle scelte pastorali che gli stavano particolarmente a cuore. Basta citare l'Azione Cattolica in ogni Parrocchia; l'istruzione religiosa; il Seminario sostenuto da una rete di numerosi iscritti all'OVE (Opera Vocazioni Ecclesiastiche); le Visite pastorali fin dall'inizio e in tutto il tempo del suo episcopato finchè le forze lo hanno sorretto: assieme alle Missioni popolari, cui erano quasi sempre abbinate, le Visite pastorali sono state uno dei pilastri portanti della sua missione episcopale.
Da rimarcare inoltre ben 9 dei 10 Congressi Eucaristici Diocesani celebrati in tutto dalla Chiesa di Parma: dal 1935 a Traversetolo fino al 1962 in Città. Neglianni
Questa proliferazione di Congressi Eucaristici la dice lunga sulla centralità che il vescovo Colli ha suputo dare alla Eucaristia. Il decimo e ultimo Congresso Eucaristico Diocesano è stato celebrato da mons. Pasini a Langhirano nell'ormai lontano 1980. Poi più nulla!

Mons. Colli ha lasciato la documentazione preziosa della sua straordinaria intelligenza e capacità di interpretare i segni dei tempi nelle Lettere Pastorali che allora i parroci leggevano al posto dell'omelia durante le Messe della Quaresima, secondo una prassi che oggi farebbe a pugni con il più elementare spirito liturgico.
Penso invece che non ci siano molte tracce di tanti suoi discorsi, saggi ed elevati al pari degli scritti, per la mancanza allora di una adeguata tecnologia di registrazione. Ogni anno era atteso il suo discorso davanti al Duomo al termine della processione del Corpus Domini: sapeva fare vibrare la Piazza gremita di fedeli, con le sue parole forti e le denunce coraggiose contro le distorsioni morali del tempo.
Non può essere taciuto il rapporto di mons. Colli con il Concilio: un rapporto molto sofferto. La sua età anagrafica e la sua ormai datata formazione culturale e spirituale, difficilmente potevano trasformarlo in un vescovo entusiasta di partecipare alle sessioni conciliari, cui peraltro è sempre stato fedelmente presente. Nei suoi ritorni a Parma lasciava facilmente trasparire nelle conversazioni le sue difficoltà ad accettare il nuovo corso della Chiesa. Il testimone della missione per applicare il Concilio in Diocesi è stato trasmesso da mons. Colli al vescovo mons. Pasini, prima come Amministratore Apostolico "sede plena" e poi come successore: noi tutti sappiamo l'impegno che mons. Pasini ha profuso.
Come era il suo atteggiamento e il suo modo di trattare i sacerdoti? Non sono in grado di dare una risposta precisa, perchè so di atteggiamenti abbastanza severi, ma anche di attenzioni premurose. Secondo le norme giuridiche e la mentalità del tempo, bisogna riconoscere che mons. Colli era indubbiamente esigente verso i comportamenti personali e pastorali dei preti.

Aveva certo molta capacità di intuire anche a prima vista le caratteristiche dei suoi preti: tutti eravamo d'accordo nell'affermare che aveva molto occhio clinico in questo senso. Noi seminaristi avevamo perfino l'impressione che ci osservasse bene a uno a uno dal suo seggio episcopale durante le celebrazioni.
Ha dimostrato nelle sue scelte di avere molta fiducia verso i preti giovani, affidando loro incarichi delicati e parrocchie impegnative.
Mi ha nominato parroco di Ognissanti, la parrocchia allora più popolosa della Diocesi (11mila abitanti), quando avevo appena 26 anni, dopo che ero stato per poco più di tre anni cappellano a Fornovo Taro. Se ci penso, mi chiedo ancora come avrà fatto a compiere un gesto così temerario: mi sentivo ed ero in realtà ancora così immaturo!
Non per nulla quel mattino del 2 marzo 1958 il vescovo mi ha presentato alla Parrocchia di Ognissanti evidenziando con molta franchezza il mio limite dovuto alla mia giovane età, rassicurando però subito dopo con la sua solita arguzia che da questo difetto si guarisce giorno per giorno.

Mi è stato molto vicino nella costruzione della nuova Chiesa di S. Maria del Rosario in via Isola: come dimenticare la benedizione e la posa della prima pietra il 4 ottobre 1959 e la solenne consacrazione il 30 settembre 1962, pochi giorni prima di partire per il Concilio?
C'è un gesto di generosità che devo segnalare per dovere di riconoscenza e perchè esprime la sensibilià di mons. Colli nel provvedere, anche di persona, alle necessità della Diocesi. Per acquistare un terreno di fianco alla nuova Chiesa mi occorrevano sei milioni: lui me li ha dati suoi personali e quando andavo da lui per restituire i soldi a rate, mi faceva sempre una ricevuta ben superiore alla somma che gli portavo: alla fine gli ho restituito solo 4 milioni!
Non posso non rievocare un episodio simpatico e per me indimenticabile. Avevamo allora come parrocchia anche la cura pastorale del quartiere Baganza, dove in alcuni palazzi popolari erano appena state sistemate le famiglie, venute via dai cosidetti "capannoni" della Navetta e del Cornocchio, che erano poco più che baracche, poco dignitose per quella gente emarginata.
E così gli abitanti trasferiti in questi nuovi palazzi, a motivo della provenienza, si erano portati dietro l'appellativo per niente elegante di "capannoni". Gente non certo abituata a frequentare la Chiesa, molto schietta nel linguaggio, ma ricca di sentimenti e capace di affezionarsi anche al prete. Infatti erano stati precedentemente oggetto di frequentazione assidua e di assistenza piena di amore da parte del "mitico" don Erminio Lambertini, che era chiamato appunto "il prete dei capannoni".
Avevamo preso in affitto un seminterrato vicino al palazzo di sei scale, in Via Colla, abitato da queste famiglie. Alla domenica si celebrava la Messa per il quartiere e durante la settimana si faceva catechismo. Una domenica è venuto il vescovo a celebrare. Al termine l'ho invitato a fare due passi con me sotto le finestre del palazzo: non voleva venire, perchè aveva timore di non essere gradito, ma io ho insistito ed è venuto. Una donna alla finestra lo ha visto tutto vestito di rosso e si è messa a gridare in dialetto: "C'è il nostro vescovo, evviva il vescovo!" Allora tutti si sono affacciati alle finestre e ai balconi a salutare rumorosamente il vescovo con una esultanza incredibile: è stata una vera festa. Il vescovo si è commosso profondamente.

Era una bella esperienza andarlo a trovare negli ultimi anni della sua vita quando non aveva più le preoccupazioni del governo della Diocesi. Forse si sentiva solo, aveva bisogno di compagnia e rievocava volentieri la sua vita passata. Anche a me, nelle visite che gli facevo, ha raccontato alcuni episodi.
Questo vorrei riferire. Era parroco di Occimiano (diocesi di Casale Monferrato). Era andato in bicicletta a portare la Comunione a una persona ammalata distante dalla Chiesa. E' arrivato il Sagrestano tutto trafelato con un telegramma. C'era la sua nomina a vescovo. Ebbene, si è sentito improvvisamente e talmente compreso della sua dignità episcopale, che non ha avuto il coraggio di riprendere la bicicletta ed è tornato a piedi in Canonica. Ha incominciato così a fare il vescovo.
Quando mons. Colli nelle grandi feste entrava solennemente in Cattedrale preceduto da una lunga fila di seminaristi e dai Canonici, il coro diretto da mons. Mario Dellapina eseguiva il mottetto polifonico del Maestro don Furlotti, molto suggestivo, che cominciava così: "Ecce sacerdos magnus qui in diebus suis placuit Deo (Ecco il grande sacerdote che nei giorni della sua vita è paciuto a Dio)".
Penso veramente si possa dire che mons. Evasio Colli è stato un vero "SACERDOS MAGNUS": nei giorni del suo episcopato è piaciuto a Dio e alla gente di Parma.

 (da “VESCOVIPRETISUOREAMICI”   don Domenico Magri  Ed. Likecube -2012)