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Profili di preti: don Alfredo Bianchi

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri e fino al settembre 2018, poi, come in questa pagina, da don Stefano Rosati.

“Manderò a voi lo Spirito di verità, dice il Signore: egli vi guiderà alla verità tutta intera”
(Gv 16, 7.13)

Ormai nella Vigilia della Pentecoste, secondo la Parola del giorno, ha accolto l’ultima chiamata del suo Signore e Maestro: “Tu, seguimi!” (Gv 21, 23)


DON ALFREDO BIANCHI
(9 aprile 1942 - 22 maggio 2021)
Arciprete di Castelnovo ed Amministratore parrocchiale di Vicomero,
Direttore dell’Ufficio per i Beni Culturali Ecclesiastici, Vicario episcopale

Don Alfedo BianchiNato il 9 aprile 1942 a San Martino Sinzano ed entrato undicenne nel Seminario diocesano di Parma, viene ordinato presbitero il 28 agosto 1966 nel Duomo di Berceto. Tornato per il primo anno di ministero alla scuola dei parroci di Collecchio e dintorni, i fratelli Ferri, che ricordava sempre con ammirazione e riconoscenza, viene subito distaccato per gli studi e trascorre due anni a Roma, laureandosi in Storia ecclesiastica e diplomandosi in Paleografia e Diplomatica, nonché in Biblioteconomia. Nei due anni successivi è a Bonn, in Germania, per la specializzazione in Storia medioevale.
Al rientro, trascorre otto anni come parroco a Fraore (1972-80), per fare successivamente l’esperienza della pastorale cittadina, nonché della vita comunitaria presbiterale, nella parrocchia di S. Maria della Pace (1980-89), e quindi tornare a fare il “parroco di campagna” nella a lui carissima Castelnovo di Baganzola (1989-oggi), cui negli ultimi anni aggiunge la cura pastorale di Vicomero (2013-oggi).
All’esperienza parrocchiale unirà sempre la pastorale dell’insegnamento della storia e della liturgia presso l’Università Cattolica (sedi di Milano e Piacenza), l’Istituto Teologico Saveriano e l’Istituto interdiocesano di Scienze Religiose “S. Ilario di Poitiers” di Parma-Fidenza-Piacenza.
Ma il suo ministero più prezioso, durato ben 45 anni, si è svolto in Centro diocesi: Curia, Cattedrale, Battistero, senza dimenticare la Fabbriceria ed il Museo. Come cultore, custode e promotore dei “tesori di Piazza Duomo”.

In quella che era per lui la “casa di Curia” è stato vice e quindi direttore dell’Ufficio liturgico (1976-1992) e poi dell’Ufficio per i Beni Culturali ecclesiastici (dal 1992 ad oggi), svolgendo in Cattedrale (senza nomina, ma ben conosciamo la sua ritrosia ai “titoli”!) il servizio di Cerimoniere vescovile, di cui tutti abbiamo apprezzato lo stile competente, sobrio e sempre “conciliare”.

È merito del vescovo Enrico l’averlo “recuperato” subito dopo il suo arrivo a Parma (2008) ad un altro livello di ministero diocesano, quello dell’Ordinariato, chiamandolo al compito di vicario episcopale. Da allora ad oggi d. Alfredo ha messo a disposizione della diocesi (e del vescovo), nei diversi campi della vita diocesana ed in primis in quello dell’amministrazione, l’acutezza delle sue analisi e la stringatezza delle sue sintesi, che talvolta poteva anche apparire “minimalismo”, ma era la sua “Weltanschauung” (come la definiva lui stesso) ovvero la sua concezione della vita, del mondo, della chiesa, dove l’attualità, soprattutto quella più complessa e problematica, era da lui sempre interpretata con quel “distacco” che gli veniva dalla “lezione della storia”.

Oggi, Vigilia di Pentecoste, a Parma abbiamo celebrato la memoria di San Giovanni Abate: pellegrino, canonico, monaco, fondatore ed abate del monastero di San Giovanni Evangelista. Abbiamo utilizzato il Proprio dei Santi della Chiesa di Parma, che cinque anni fa, dopo una lunga “incubazione”, d. Alfredo è finalmente riuscito a pubblicare. Nell’eucologia e soprattutto nel “martirologio” del Santo altomedievale abbiamo riconosciuto, oggi più che mai, il suo stile inconfondibile. Che abbiamo apprezzato anche lo scorso 19 marzo, ricordando il beato fra Giovanni Buralli da Parma, il “fondatore” della Chiesa di San Francesco del Prato, al cui restauro d. Alfredo ha dedicato tutte le sue ultime forze.
La consacrazione di S. Francesco egli la vedrà dall’alto nella compagnia dei Santi parmensi, perché – abbiamo ripetuto col Salmo della Messa di oggi: “gli uomini retti, Signore, contempleranno il tuo volto” (Sal 10). Ma è a lui che in qualche modo non potremo non “dedicarla”!

don Stefano Maria

Parma, 22 maggio 2021

(Il pdf di questo profilo è scaricabile da qui)


Profili di preti: don Piero Viola

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri e fino al settembre 2018, poi, come in questa pagina, da don Stefano Rosati.

Sabato della XXIV Settimana per Annum
«Beati coloro che custodiscono la parola di Dio con cuore integro e buono e producono frutto con perseveranza»
(Lc 8, 15)

Questa notte ha accolto il tanto desiderato abbraccio di misericordia del suo Signore


DON PIETRO VIOLA
(24 gennaio 1931 - 19 settembre 2020)
già parroco di San Lazzaro ed esorcista diocesano

DonPietroViolaNato a Mozzano (Neviano de’ Arduini) il 24.01.1931, viene ordinato presbitero a Parma il 20.06.1954 dal Vescovo Evasio Colli, che lo destina alla parrocchia di Pianadetto. Inizia qui una esperienza che delinea il primo e più importante tratto della sua figura di presbitero diocesano: il ministero di parroco, che per ben 55 anni lo porterà a servire tante comunità della montagna (dopo Pianadetto, Antreola, Tizzano e poi ancora Monchio e il monchiese, Calestano e Marzolara e le altre comunità calestanesi, Terenzo e Bardone, Ranzano e le Parrocchie del basso palanzanese e della Valcieca) e due popolose parrocchie della città (S. Maria della Pace e S. Lazzaro).

Nei suoi parrocati quali i tratti che in lui tutti abbiamo apprezzato? Non si può dimenticare la sua personale disponibilità alle necessità della Diocesi, in obbedienza al Vescovo e così pure la sua pastorale semplice ed intelligente, in quanto capace di “incarnarsi” per il bene della gente, sia che si trovasse nell’alto monchiese piuttosto che nella valle dei Cavalieri o in città, e sempre ed ovunque volta a promuovere le collaborazioni dei laici.
Ma la sua “impronta” è stata senz’altro quella di “rappresentare al vivo” il can. 280 del CIC, che nella prima parte, a proposito dell’esercizio del ministero presbiterale, “raccomanda vivamente ai chierici di praticare una consuetudine di vita comune”. E qui il fondamento sacramentale si invera certamente grazie a quella che don Piero amava definire come “una facilitazione” a vivere il ministero diocesano. E cioè l’esperienza del Focolare.
Con una significativa consuetudine con Chiara Lubich ed i ruoli di responsabilità nazionale che per lunghi anni ha ricoperto, avendo trovato nella partecipazione al Movimento una risposta dello Spirito alla “corrente” di rinnovamento del Concilio Vaticano II.
Il suo essere focolarino non lo ha distolto dalla vita della Diocesi, ma in mezzo alle normali attività pastorali lo ha portato a proporre e far crescere lo spirito di unità fra tutti, a partire dal presbiterio diocesano, facendo di esso e della Chiesa di Parma “la casa e la scuola della comunione”, come fermento di fraternità per l’intera umanità.

C’è poi un terzo tratto caratterizzante la sua figura e il suo ministero, che dal 2007 fino alla morte, lo vede esorcista diocesano. Fin dai tempi in cui ogni settimana scendeva a Parma da Ranzano e poi mentre era in città e financo nell’ultimo anno in cui è stato ospite di Villa sant’Ilario, dove l’Opera, naturalmente prima del lockdown, gli aveva dato la possibilità di continuare a ricevere persone, da cui comunque era “braccato” per via telefonica, a qualunque ora del giorno e non solo, ebbene don Piero al ministero di esorcista si è dedicato con una assiduità ed uno zelo che talvolta hanno messo a repentaglio la sua salute, ma anche con un equilibrio ed una sapienza che sono stati apprezzati anche fuori Diocesi. Per incontrare l'esorcista si partiva anche da Reggio, Cremona e Piacenza. Come la stragrande maggioranza che erano parmigiani, per don Piero, tutta gente alla ricerca di aiuto. Aiuto, dopo aver sollecitato col suo fare “disarmante” un accompagnamento di natura psicologica e psichiatrica, per lui la quasi totalità delle volte significava “semplicemente” confessione, preghiera, direttive spirituali.
E poi c’erano i «pochi altri», per i quali combatteva, offriva e soffriva. Con una certezza: che la permissione di Dio, anche quella concessa al demonio, è per il bene e che il Vangelo scaccia il demonio. Sempre.

Grazie, don Piero, della tua testimonianza di fede di parroco, focolarino, esorcista.
Ora che hai ritrovato don Dario, che nella scheda a tuo nome nello stato del clero viene definito, insieme alla famosa perpetua Natalina, tuo “convivente”, ti affidiamo il nostro presbiterio, puoi immaginare per cosa… Perché resta la seconda parte del can. 280 che auspica, anzi chiede che “dove la vita comune è attuata, per quanto è possibile, si mantenga”.

Don Piero, aiuta noi tuoi confratelli a mantenere questa consuetudine, che era la tua, ed a rimanere o diventare “presbiteri della vita comune”! Sì, certo, “per quanto possibile”. Ma il tuo ricordo ed il tuo esempio ci convincano tutti che lo è davvero… almeno un po’ di più. E convincano qualcuno a raccogliere da te il testimone!

don Stefano Maria

Parma, 19 settembre 2020

(Il pdf di questo profilo è scaricabile da qui)

Al termine delle esequie di don Viola, è stato distribuito ai presenti il suo testamento, ora disponibile qui.


Profili di preti: don Andrea Avanzini

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri e fino al settembre 2018, poi, da don Stefano Rosati.o, eccezionalmente, tratti da Vita Nuova, come in questo caso.

DON ANDREA AVANZINI
(3 ottobre 1965 - 7 marzo 2020)
Priore di Bannone, mansionario della Cattedrale, amministratore parrocchiale di Castione Baratti ed assistente ecclesiastico del M.A.C.


DonAndreaAvanziniDon Avanzini, cuore di bambino

Nel primo pomeriggio di sabato 7 marzo, per un infarto è morto don Andrea Avanzini. Un colpo gravissimo. Anche le limitazioni dettate dal contrasto al contagio da Coronavirus, impedendo la prossimità dovuta in queste circostanze, rendono l’esperienza del distacco ancora più grave.
Don Andrea aveva un cuore di bambino in un corpo di cinquantenne. E come i bambini poteva pensare, perfino con cocciutaggine, che le cose del mondo potevano, dovevano migliorare. Per lui non c’erano sfumature: o c’è il bianco, o c’è il nero. Le parole servono se concrete, i concetti sono veri se avvalorati dai fatti, le persone credibili se affidabili. L’altalena caratteriale che gli era propria, nasceva dalla deludente constatazione che potessero esistere parole retoriche, concetti ridondanti, persone contradditorie. E questo per lui era destabilizzante.

Insistendo come solo sanno fare i bambini, e col permesso dei suoi ottimi genitori (oggi sicuramente i più prostrati da un dolore così innaturale: vedere morire l’unico figlio davanti ai propri occhi!) è entrato in Seminario – allora “Seminario Minore”, in viale Solferino 25 – alle medie inferiori. Quattro anni di distanza tra me e lui. Nell’insieme, il nostro Seminario, era un bel gruppetto di amici. Le solite storie di adolescenti, i trucchetti da vita collegiale, con scherzi e battute. Le partitelle senza pretese, con lui in porta. Gli orari e la condivisione dei servizi, le chiacchiere amene e le cose più serie che aprivano ad affinità. Adolescenti anche nei loro sogni, nelle loro idealità, nelle loro speranze. Le ricordava volentieri anche don Andrea, quelle speranze: i begli esempi dei nostri superiori, il lavoro alacre dei nostri insegnanti, unitamente alla nostra crescita umana. Anni di elaborazione del carattere che solo i lunghi e stringenti periodi di condivisione comunitaria possono dare.

Venne anche per lui il tempo dell’Ordinazione: amava moltissimo il suo essere prete. In Seminario prima, come animatore; a Noceto poi; a Bannone e nel traversetolese. Servì come Consorziale nella chiesa di Santa Lucia. Prestò servizio all’ufficio di don Giulio Ranieri (vicario generale) e del vescovo Bonicelli.
Amava conoscere. Andare in fondo alle cose. Possedere i dati esatti delle questioni. Dotato di una memoria formidabile, era capace di tenere il segreto. Sapeva difendere gli amici dalle cattiverie e dai pettegolezzi. Anche qui: aveva mantenuto la lealtà dei bambini che non sono capaci di dire le bugie perché diventano subito rossi. Piuttosto che dire bugie, don Andrea tergiversava o, magari, si arrabbiava. E pregava.

Dal nostro Seminario abbiamo imparato la meditazione quotidiana, il senso della liturgia come educazione della vita secondo lo Spirito, il gusto per il pensiero davanti a Dio. Nei momenti più faticosi, alla fine, si rimetteva a Dio. Non si è mai vergognato del Vangelo; non ha mai nascosto il suo essere prete; da lui ho sentito riflessioni di fede cristallina. Non ha esitato a soffrire per la giustizia. Con intenso entusiasmo abbracciava le gioie semplici: la festa con i bambini, la campagna e la benedizione degli animali, le celebrazioni sacramentali della sua gente e dei suoi amici; gli ricordavano il suo essere bambino, vicino al suo indimenticato parroco, don Brenno Tagliavini. Diceva: "la modalità è sempre la stessa, radunare le persone, conoscerle una per una, coltivare l’amicizia". Andare, avvicinarsi. Con durezza, quasi collerica, allontanava da sé le ipocrisie. Anche qui: senza mezzi termini ma con passione vera, sincera.
Andrea è un amico del Regno dei cieli. Fa parte dei “piccoli” cui il Padre insegna il pensiero nascosto del Regno: quel mondo divergente dal nostro mondo disincantato, così ben organizzato da saltare in aria per una cosa piccola così, come un virus.

Siamo in tanti a dover chiedere perdono a don Andrea: non sempre abbiamo apprezzato la sua potenziale capacità di cogliere la realtà delle cose e di dirla. Lui, proprio grazie alla sua intuitiva intelligenza, coglieva la realtà; la esprimeva con definizioni geniali. Le ricorderò come qualcosa di proverbiale: mi serviranno anche in futuro per mantenere nel cuore l’incanto dei bambini che giocano con le maschere ma lo sanno benissimo che sono maschere e non corrispondono alla realtà. Sì, don Andrea, te lo dobbiamo: vogliamo credere anche noi che il mondo cambierà in meglio e vogliamo impegnarci a dargli una spinta, indignandoci almeno un poco, quando l’errore si maschera di vellutata ipocrisia. Visto che sei voluto andare avanti, caro Don Andrea, tienimi un posto. Io però, questa volta, non presiedo: concelebro, anzi, come dicevi tu, «ti assisto».

don Mauro Pongolini per Vita Nuova del 15 marzo 2020

La Rete ricorda “Baloo”, prete sanguigno, scout e navigatore

La scomparsa di don Andrea Avanzini, a soli 54 anni, non poteva non scuotere quanti hanno vissuto accanto a lui i migliori anni della giovinezza. Tra loro, i ragazzi e i capi di tre gruppi scout Agesci: don “Baloo” – dal nome dell’orso saggio nella Giungla di Kipling – ha seguito il Parma 9 (1993–94), Noceto 1 1995–2000) e Val d’Enza 1 (a Montechiarugolo, fino al 2018), mentre era vicario (a Noceto dal 1992, al fianco di don Corrado Mazza), parroco (a Bannone dal 2000, e a Castione Baratti dal 2006), mansionario, assistente del Movimento apostolico ciechi.
Dalla Rete piovono i pensieri di chi con lui ha giocato il Grande Gioco.
Matteo Vallara (ex Parma 9) lo rivede, fresco d’ordinazione, al campo estivo: «Ti è piaciuto, eccome. Avevi sempre un volto stupito». Fuori dalla tenda, a voce alta telefonava: «“Sì, mamma, tutto bene. Stanotte ho avuto caldo, ho aperto e ho messo la testa fuori. Si vedeva un cielo stellato molto bello. Mi sono addormentato così”... Buona caccia, fratellone».
Pietro Maghenzani (PR9) ha fotografato l’amico che benedice un gregge. Cita Pietro con Gesù: “Signore, tu sai che ti voglio bene”, “Pasci le mie pecore”.
«La passione per il mare ti accompagni ovunque. Hai comprato la tua canoa. Ora guidala senza fermarti mai». Sdrammatizza Alessandro Zarba (da Noceto al PR9) rievocando il “don” sanguigno e goliardico, in route in Sardegna: «noi accampati sotto al portico di un asilo; arrivano due brutti ceffi che chiedono ospitalità al grido “Gesù accoglieva tutti!”. E lui, in dialetto: “L’è miga véra! Viva Budda!”».
«Buon vento» da Francesco Fenga (Val d’Enza): «Ti abbiamo passato la passione per la nautica». La route in Croazia in barca a vela; «la Messa ogni mattina a bordo di Miracle, coi ragazzi confluiti dalle altre barche». I 110 km a piedi verso Santiago; «eravamo 75, e tu, dopo una giornata di cammino, ci hai confessato quasi tutti».
Giuliana Ruffolo (ex Noceto 1) rivive il finale del Libro della Giungla, nelle parole del lupo Fratel Bigio: «Le stelle si fanno più rare... Dove faremo la nostra tana oggi? Perché d’ora in poi seguiremo nuove tracce».


Erick Ceresini per Vita Nuova del 15 marzo 2020

(Il pdf di questo profilo è scaricabile da qui)


Profili di preti: don Pietro Montali

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri e fino al settembre 2018, poi, da don Stefano Rosati.o, eccezionalmente, tratti da Vita Nuova, come in questo caso.

DON PIETRO MONTALI
(21 maggio 1931 - 2 marzo 2020)
già parroco di Palanzano


È mancato don Montali, per 50 anni prete di Palanzano. DonPietroMontali

Fno al 2014, per cinquantun anni, don Pietro Montali è stato il prete di una delle piccole comunità della Valle dei Cavalieri, quel territorio della montagna matildica equamente distrubuito fra la provincia di Parma e quella di Reggio Emilia. Nel lontano ‘64 a don Pietro era toccato Palanzano; poi nel ‘71 Caneto, nel ‘75 Zibana e nel ‘91 Trevignano, man mano che venivano a mancare i titolari delle rispettive parrocchie. Lunedì scorso 2 marzo anche lui è tornato alla casa del Padre: aveva  88 anni.

Nato a Langhirano nel 1931 ed ordinato prete il 23 giugno del ‘57, don Pietro dopo un anno e mezzo come cappellano di Ognissanti in via Bixio e cinque anni fra la gente della Bassa di Palasone di Sissa era stato spedito in montagna. Nel luglio del 2007, in occasione dei suoi cinquant’anni da prete, Vita nuova aveva dedicato a don Pietro un articolo nel quale venivano intervistati anche gli altri tre presbiteri che insieme a lui erano ordinati da monsignor Evasio Colli: don Giuseppe Canetti, allora in servizio a Colorno; monsignor Eugenio Binini, allora vescovo di Massa, Carrara e Pontremoli; e don Franco Dioni.
In quell’articolo don Pietro aveva definito quei cinquant’anni da presbitero «un cammino che mi ha gratificato sempre di più, perchè ho cercato di cogliere sempre qualche briciola di divino e di offrirla agli altri quando ce n’era l’occasione». Ma non mancava anche un po’ di rammarico per «vedere il mondo intorno a me solo orientato verso l’umano, che non sa se il divino esista e quanto sia bello poterlo fare entrare nell’oggi, perchè si porta dentro quella pace che invece gli altri non possono provare». Gli dispiaceva, soprattutto, «vedere un mondo senza dialogo con i preti, con la fede, con il Signore».

A Palanzano era arrivato pochi giorni prima del Natale del ‘63, un po’ in anticipo, quasi per abituarsi a quell’ambiente, solo all’apparenza ostile, che sarebbe poi diventato casa sua per il mezzo secolo successivo. Don Pietro amava quella montagna e ne conosceva tutti i segreti. Era una gran fungaiolo e anche un discreto tartufaio, tanto che negli ultimi anni si era scelto come compagno di vita un Lagotto romagnolo – il cane da tartufo per antonomasia – ormai talmente abituato ai ritmi del proprio padrone che qualche minuto prima delle 18 cominciava ad abbaiare per ricordargli che doveva andare a dir Messa.

Poco prima di lasciare Palanzano, nel gennaio del 2014 aveva festeggiato insieme a tutta la comunità di fedeli di Palanzano i cinquant’anni da parroco con una Messa in suo onore copresieduta da don Matteo Visioli e padre Antonio Santini, che da lì a poco lo avrebbe sostituito. In quell’occasione i palanzanesi avevano voluto regalargli un’icona del buon Pastore, un regalo azzeccato per un uomo di Chiesa che per tanti anni era stato guida spirituale di generazioni e generazioni di palanzanesi. Mentre il vescovo Solmi volle esprimere a don Pietro tutta la sua gratitudine per il lavoro svolto a Palanzano con una lettera che venne letta alla fine della funzione. «Cinquant’anni da parroco – scriveva il vescovosono un gran dono di Dio. Per te e le persone delle parrocchie che in questi lunghi anni hai servito con zelo, questa ricorrenza consente di rendere grazie a Dio per il dono del sacerdozio e di proclamare il Magnificat per le grandi cose che il Signore ha fatto tramite il tuo ministero. La nostra Chiesa e il suo vescovo – così si chiude la lettera – ti ringraziano di questo secondo lavoro e augurano ogni bene per il tuo nuovo ministero che presto prenderà forma».

Luca Campana per Vita Nuova dell'8 marzo 2020

(Il pdf di questo profilo è scaricabile da qui)