Pellegrinaggio nei luoghi di San Benedetto: Norcia e la Valnerina
29-30 giugno 2024

Interno della Chiesa di Santa Maria di Vallo di Nera.
Parte del gruppo davanti alla statua di San Benedetto a Norcia.

Benedetto e la sorella gemella Scolastica nascono a Norcia intorno all'anno 480 da una famiglia benestante e nobile. Dodicenni vengono mandati a Roma per compiere gli studi classici, qui però non si trovano a loro agio perché lo stile di vita era alquanto dissoluto, per questo lasciano ben presto Roma. Benedetto decise di ritirarsi in eremitaggio nella valle di Subiaco e Scolastica entrò in un monastero vicino a Norcia e dopo qualche anno seguì il fratello a Subiaco. Nella solitudine dell'eremitaggio, Benedetto matura quella spiritualità che in poco tempo lo portò a fondare le prime comunità monastiche nella valle del fiume Aniene, che diventeranno poi il centro di tutto il monachesimo occidentale e fonte di ispirazione dei valori e della cultura di tutta la nostra Europa. Successivamente, tra gli anni 525 e 529, fondò il monastero di Montecassino, dove restò fino alla morte avvenuta nel 547.

Nel 2019 il nostro pellegrinaggio aveva avuto come meta proprio Subiaco e Montecassino; quest'anno, recandoci a Norcia, abbiamo chiuso il cerchio sui luoghi di San Benedetto. Una visita doverosa, la nostra, poiché la Nuova Parrocchia, formata dalle parrocchie di Sorbolo, Bogolese, Casaltone, Enzano, Frassinara e Ramoscello, è stata intitolata, su proposta di don Renato Calza, proprio a San Benedetto. Così, a pieno carico e di buon mattino, siamo partiti verso alcune delle bellezze dell'Umbria.

Prima tappa Spoleto, comune della provincia di Perugia, situato a 396 m s.l.m. su un promontorio alle falde del Monteluco. Noi non ci siamo diretti subito nella cittadina ma, lasciato il pullman, siamo risaliti a piedi in altra direzione (sotto il sole cocente!) per raggiungere, tra boschi ed oliveti, l'Abbazia di San Ponziano, che sorge al di fuori della cinta urbana di Spoleto, a poca distanza dal cimitero e già area cimiteriale paleocristiana. Ponziano, diciottenne di nobile famiglia locale, visse a Spoleto al tempo dell'imperatore Marco Aurelio; dopo aver resistito, con fede indomita, a tante prove e persecuzioni, alla fine venne condannato alla decapitazione, che fu eseguita il 14 gennaio del 175. Sul luogo dove, secondo la tradizione, la sua testa rimbalzò tre volte e infine fece sgorgare l'acqua e il suo corpo fu sepolto, venne costruita la Chiesa a lui dedicata e un annesso monastero benedettino, prima maschile e poi femminile. La Chiesa venne edificata tra i secoli XI e XII e subì successivamente numerosi rimaneggiamenti interni, mentre la facciata mantenne l'aspetto romanico, con il portale ornato e i simboli degli evangelisti attorno al rosone. La cripta è ornata con affreschi del XIV-XV secolo e mantiene inalterato il suo aspetto originario. Il monastero, risalente al secolo XI, custodisce il teschio di San Ponziano, che ancora oggi viene portato in processione il 14 gennaio e la reliquia è esposta fino alla domenica successiva. La sera del 14 gennaio 1703 un terribile terremoto colpì la zona, a Spoleto si ebbero molti crolli, ma nessuna vittima. Questa singolare coincidenza fu attribuita all'intercessione di Ponziano, di cui si celebrava la festa, e da allora viene invocato in occasione dei terremoti, oltre ad essere venerato in quanto Patrono della cittadina.

Questo luogo così a lungo frequentato per le tante devozioni, insieme alla Basilica di San Salvatore, oggi resta fuori dai circuiti turistici, gli stessi abitanti di Spoleto se ne ricordano solo il 14 gennaio; il custode che ci ha aperto la chiesa è rimasto stupito che una numerosa comitiva fosse arrivata fin lì. Roberto è capace di scovare in ogni luogo la perla nascosta!

Poco più oltre, ancora una leggera salita e, superato il cimitero, si presenta la Basilica di San Salvatore, maggior monumento spoletino dell'antichità, risalente alla fine del IV secolo o inizio del V e patrimonio Unesco. Dapprima dedicata a Concordio e Senzia, poi, probabilmente, per l'intervento dei duchi longobardi, venne intitolata a San Salvatore. La chiesa è inagibile, non è possibile entrare, è comunque possibile ammirare l'interno affacciandosi ad una vetrata posta davanti al portone principale. La facciata oggi si presenta divisa in due piani: sulla parte inferiore si aprono tre eleganti portali in pietra e i fregi degli architravi sono di ispirazione romana, mentre sulla parte superiore si aprono tre finestre.

Quindi, giunto il momento del pranzo, con una comodissima scala mobile, siamo risaliti sino in cima al centro storico di Spoleto, dove si trova la rocca, poi, lì nei pressi, il ristorante e così abbiamo potuto mettere in tranquillità i piedi sotto la tavola (pellegrinaggio è anche questo!) e gustare alcuni piatti tipici del luogo, tra cui una bruschetta con un olio delizioso, due fette del loro prosciutto, affettato a mano (qualcuno sosteneva che il nostro..., ma che dire, ognuno ha le proprie specialità) e anche gli strangozzi, un loro tipo di pasta fatto sempre a mano.

All'uscita dal ristorante, proprio neppure a due passi, si presenta la lunga e famosa scalinata e, superba, si apre la vista della Cattedrale dedicata a Maria Assunta (solo rovinata dalla presenza di un enorme palco allestito per il festival dei due mondi in corso in quei giorni). Giusto il tempo di ammirarne la facciata impreziosita dal mosaico, dalle arcate del portico e dall'utilizzo di pietre cromaticamente contrastanti, bianche e rosate dei monti intorno, e di buttare un occhio anche all'interno per restare stupiti per gli affreschi di Filippo Lippi nel presbiterio e per gli affreschi realizzati da Pinturicchio, situati nella prima cappella a destra e via, subito giù per le scale mobili per raggiungere il pullman dove il nostro bravo autista ci attendeva.

Meta: Cascate delle Marmore. E qui è stato un po' per tutti come ritornare bambini: un vero divertimento percorrere i vari camminamenti ben segnalati e di diverse difficoltà, andare su e giù per i gradini cercando di schivare gli schizzi oppure andandoli a cercare per avere refrigerio. La cascata delle Marmore, il cui nome deriva dalla presenza di carbonato di calcio nelle rocce che le rende simili al marmo, è formata dalle acque della Nera che confluiscono nel Velino ed è la più alta cascata artificiale d'Europa, con un dislivello di 165 metri suddiviso in tre giganteschi salti e ciò la rende particolarmente spettacolare. Anche se tante leggende sono state costruite intorno all’origine della cascata e che Roberto ci ha raccontato in modo particolareggiato, la cascata è stata creata dai Romani nel 271 a.C. per ripulire le acque malsane che circondavano la città di Rieti; nel corso dei secoli furono poi apportate diverse modifiche, per contrastare gli allagamenti nei periodi di piena dei due fiumi. L'aspetto attuale risale al 1787, quando venne realizzato un altro canale che modificò i salti della cascata, risolvendo i problemi del passato.

L'indomani percorriamo la meravigliosa Valnerina: valle stretta, tenebrosa, con pareti a strapiombo, boschi e foreste a perdita d'occhio, numerose sono le torri che si ergono in posizioni strategiche a protezione della vallata, la Nera che scorre e gli antichi borghi che appaiono uno dopo l'altro, portando con sé purtroppo le ferite, ancora evidenti, del sisma del 2016. Tra questi, Ferentillo (noi guardiamo dal pullman), famoso perché nella cripta della Chiesa di Santo Stefano si trova il Museo delle Mummie, si tratta di mummificazione naturale dovuta alle particolari condizioni ambientali. E poi Scheggino (ancora guardiamo dal pullman), un borgo che sembra sospeso nel tempo, costruito come castello fortificato per controllare uno dei ponti sulla Nera. Un evento che ha reso famoso questo borgo è l'assedio nel 1522 da parte di Picozzo Brancaleoni: con gli uomini assenti, sono state le donne a porre resistenza e a respingere l'attacco. Questa vittoria ogni anno viene ricordata con una rievocazione storica. Poi Sant'Anatolia di Narco, dove si trova il Museo della Canapa e nella frazione Castel San Felice, ai piedi di una boscosa altura, poggiata su prati verdeggianti e con il canto della Nera che l'avvolge di frescura, spicca con il candore delle sue pietre l'Abbazia di San Felice e Mauro, due eremiti siriani che nel V secolo evangelizzarono queste zone, di cui la Chiesa racconta le gesta. Questa Abbazia è uno splendido esempio di romanico umbro e fa della semplicità la sua grandezza. L'interno, sobrio ed elegante, è formato da un'unica navata, una luce fioca piove dall'alto da quattro monofore presenti su ciascuna delle pareti e il presbiterio rialzato è reso accessibile salendo sette (come le virtù) gradini di pietra. In questo scenario, dove bellezza della natura e grande operosità dell'uomo si sono fuse in perfetta armonia, abbiamo celebrato, grazie al nostro Diacono Manfredo, la liturgia domenicale della Parola e abbiamo potuto accostarci all’Eucarestia.

Continuiamo a percorrere la Valnerina fino, inerpicandoci per strette vie, a giungere a Vallo di Nera, un borgo medievale, con le sue case di pietra chiara, inserito tra i borghi più belli d'Italia e ricostruito, dopo un terremoto devastante, secondo le regole antisismiche che lo hanno preservato dai terremoti successivi. Eretto su un colle a difesa del territorio, il suo impianto urbanistico è di forma ellittica, con mura possenti e le torri che circondano le case addossate le une alle altre, interrotte da ripide viuzze, da archi e sottopassi, mentre due porte permettono ai pedoni l'accesso. Tre le chiese romaniche presenti, San Giovanni Battista domina il paese in quanto posta sulla parte più alta del colle; il suo interno è quasi completamente affrescato ad opera di artisti di scuola giottesca. Tra questi spiccano la “Processione dei Bianchi” (un movimento penitenziario nato dal popolo che attraversò l'Italia nel 1399, in preparazione all'anno giubilare) unica nel suo genere, essendo stata rappresentata solo qui. A Vallo di Nera trova spazio anche la Casa dei Racconti, una sorta di armadio della memoria, in cui viene raccolto fisicamente tutto ciò che appartiene alla tradizione orale, perché non vada perduto nulla. Questo paese monumento è proprio bello e altrettanto belli gli scorci sulla vallata che invitano tanti ad immortalare il momento, scattando foto.

Prima del pranzo c'è il tempo di andare a visitare Norcia, centro del nostro pellegrinaggio. Norcia è situata a 604 m s.l.m. ed è circondata da un anfiteatro di montagne; come capoluogo settentrionale dei sabini, sorge intorno al V-IV secolo a.C. e nel 209 a.C. è conquistata dai Romani che costruiscono una prima cerchia di mura. Avvicinandosi alla cittadina, evidenti sono ancora i segni del terremoto del 2016: parte delle antiche mura distrutte sono in fase di ricostruzione, tanti cantieri ancora aperti e numerosi i prefabbricati. Piazza San Benedetto, fulcro del paese fin dal medioevo, presenta, al centro, la statua del Santo, rimasta intatta, così come a Montecassino la statua era rimasta al suo posto dopo il distruttivo bombardamento della seconda guerra mondiale. La Basilica è ancora cantiere, ricordiamo che a seguito del sisma del 30 ottobre 2016 è crollato il possente campanile distruggendo il corpo centrale, lasciando in piedi facciata e abside. Sostare su questa piazza fa riflettere sul ruolo che San Benedetto ha avuto nella storia, e non solo per il cristianesimo. La Regola “ora et labora”, ma anche “studia” (è sufficiente pensare all'opera di trascrizione di tanti volumi antichi da parte dei monaci), sono fondamentali anche per il nostro tempo, a lui e ai suoi seguaci dovremmo continuamente attingere. Dopo la caduta dell'impero romano, hanno saputo riorganizzare i territori, bonificandoli e rendendoli coltivabili, dando il via a nuove produzioni, hanno saputo integrare con la forza della fede e dell'esempio tante popolazioni lontane tra di loro, i così chiamati barbari. Paolo Rumiz, dopo aver visitato tanti monasteri e conosciuto tanti monaci, nel suo libro “Il filo infinito”, sostiene questa tesi, arrivando a dire che c'è un filo diretto che si dipana dal centro Italia e che avvolge tanta parte di Europa.

Con questi pensieri in testa, dopo il pranzo e prima di intraprendere il lungo viaggio di ritorno, ci aspetta la visita alla tanto attesa piana di Castelluccio. La strada non è certo agevole, specie se si incontrano due pullman, ma grazie all'abilità dell'autista siamo potuti arrivare alla piana e poi, anche ripercorrerla in senso inverso, nel ritorno. La piana, un altopiano situato sui 1270 m, colpisce per la vastità (18 km2), ed è tutta circondata da catene montuose, tra cui i monti Sibillini, con la sua cima più elevata, il monte Vettore (2476 m), sul versante di un monte è possibile individuare la sagoma della nostra Italia, ottenuta con la sistemazione opportuna di alberi. Tra giugno e luglio questa piana ammanta per la fioritura biancastra delle lenticchie, specie nelle vicinanze dell'abitato di Castelluccio, a cui si aggiunge la contemporanea esplosione di colore, dal giallo dei ranuncoli, al rosso dei papaveri, all'azzurro dei fiordalisi, al violaceo dello specchio di Venere. Noi non siamo riusciti a cogliere tutti questi colori, tuttavia essere immersi in questa immensa natura, ad eccezione del piccolo agglomerato di Castelluccio posto su di un colle ad una estremità della piana, ci fa percepire tutta la grandezza della natura nella sua grande bellezza e nella sua drammatica forza. La forza che viene dal centro della terra e che ha colpito duro: il sisma del 2016 ha quasi completamente distrutto Castelluccio e ha lasciato un solco longitudinale, ben visibile, sui Sibillini ad indicare lo spostamento di una porzione di monte.

A Roberto, come sempre, vada il nostro immenso grazie per aver scelto questi luoghi, per averceli fatti apprezzare e gustare e a tutti i pellegrini per averci, ancora una volta dato fiducia.