Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.
DON ROBERTO FERRARI
21 ottobre 1929 - 13 gennaio 2000
Prete convinto e fedele, oratore e conversatore brillante, molto colto e senza peli sulla lingua, poeta finissimo dal linguaggio moderno, capace di battute fulminanti, amico straordinario almeno per coloro ai quali è riuscito a svelare le profondità del suo animo e che hanno saputo accettare, anzi addirittura divertirsi, se colpiti dalle sue “stoccate”. Un personaggio non comune!
- nato a Soragna il 21 0ttobre 1929
- ordinazione presbiterale 20 giugno 1954
- parroco a Trefiumi 1954 – 1989
- parroco a Miano dal 1989
- deceduto il 13 gennaio 2000 a Villa S.Ilario.
Nell'ottobre del 1942 non si era presentato da solo in Seminario Minore per frequentare la I classe ginnasiale. Con Roberto Ferrari c'era il fratello gemello Silvio: due gocce d'acqua, come si è soliti dire in questi casi. In principio per noi compagni era un piccolo problema distinguerli. Ma soprattutto dal temperamento dei due gemelli noi abbiamo presto imparato a non confonderli. Silvio era piuttosto introverso e riservato: intelligentissimo pure lui, è stato un bravo sacerdote ed è venuto a mancare nel 1990.
Roberto invece ha fatto capire subito di che lana andava vestito, con il suo modo aperto e sbarazzino di presentarsi e di esprimersi. E non si è mai smentito in tutti i giorni della sua vita: fino all'ultimo. Questo suo stile di comportamento gli procurava ogni tanto qualche problema nel rapporto con i suoi parrocchiani e i suoi confratelli, quando non si era capaci di capire il suo linguaggio, fatto di un genere letterario personalissimo, che si avvaleva spesso di frasi a volte un pò caustiche. Ma l'istinto della battuta era troppo forte in lui: non sapeva resistere! In realtà, a scavargli dentro, forse avremmo scoperto in don Roberto una persona indifesa, bisognosa di affetto, problematica e, tutto sommato, piuttosto fragile di fronte alle difficoltà della esistenza.
Noi preti in particolare dobbiamo forse rimproverarci di avere tenuto le distanze nei suoi confronti: ai preti che gli si sono avvicinati, ha svelato in compenso tesori straordinari di fede (aveva tanta fede!), di affetto, di amicizia sincera, con tratti di sorprendente delicatezza.
E' sempre stato parroco di parrocchie piccole, ma sappiamo che si può dimostrare forte personalità, senza essere parroci di parrocchie grosse e importanti e senza occupare posti di rilievo nell'organigramma ecclesiastico. Nella sua esperienza di giovane parroco a Trefiumi, don Roberto ha saputo fare anche il costruttore, con indicibili sforzi per quei tempi, come è facile immaginare, e poi ha sempre curato con amore le Chiese che gli sono state affidate. Ma non si può dire che don Roberto sia stato un prete di azione, se intendiamo per azione l'agitarsi e il correre freneticamente a destra e a manca. L'azione più importante è quella dello spirito, che si interroga sui grandi problemi dell'esistenza e cerca di trovare risposte alla luce della fede.
Don Roberto non è mai stato in ozio: nella quiete delle sue piccole parrocchie ha studiato, si è sempre aggiornato sulla teologia, sulle Sacre Scritture, sulla pastorale, sulla vita della Chiesa, sulla cultura, sulla realtà sociale contemporanea. Non era un personaggio ripiegato su se stesso. Con lui è scomparsa una biblioteca vivente: sapeva di tutto e su tutto era in grado di dare un suo autorevole contributo sapienziale.
Era poeta: starei per dire un grande poeta. Aveva comunque quello che potremmo chiamare un istinto irrefrenabile per la poesia, che mi fa venire in mente il famoso verso di Ovidio: "et quod temptabam dicere versus erat". Quando gli mandavo nei miei viaggi una cartolina, mi rispondeva puntualmente con qualcuno dei suoi versi poetici. In una sua risposta ho trovato questo breve componimento poetico, datato settembre 1998, quando era già stato colpito dalla lunga malattia:
"Il cuore prima chiede gioia
poi assenza di dolore
poi quegli scialbi anodini
che attenuano il soffrire,
poi chiede il sonno, e infine,
se a tanto consentisse
il suo tremendo Giudice,
libertà di morire".
Sono parole che fanno impressione e dànno la misura di uno spirito pensoso, che aveva i suoi travagli interiori, aggravati certamente dalla sofferenza fisica di quel periodo, e non sapeva che cosa fosse la fede facile: era convinto che la fede facile corre il rischio di diventare fede facilona e la fede facilona non può certamente piacere a Dio.Ho detto che ha sempre curato il decoro delle Chiese che gli sono state affidate: ma bisogna dire che ha curato soprattutto le comunità parrocchiali, cioè le chiese vive di Trefiumi, Rimagna e, ultimamente, di Miano.
Amava le comunità, non in maniera astratta e generica, ma amando i suoi cristiani a uno a uno. Sono stato invitato da lui a celebrare la Messa nella festa del Patrono San Nicola nel mese scorso e ho ammirato l'affetto caldo che regnava in quella giornata fra lui e i suoi parrocchiani: è stata l'ultima festa del Patrono ed è stato uno straordinario canto gioioso di amore sponsale della Comunità per don Roberto, che, a riprova di questo profondo legame affettivo con Miano, ha lasciato detto di esser sepolto qui. Don Roberto ha vissuto diversi mesi di sofferenza e di malattia, prima di spegnersi dolcemente passando dal sonno alla morte.
Tutti quelli che lo hanno accostato in questo ultimo periodo, hanno potuto notare la dignità con cui ha sofferto e la lucidità con cui ha affrontato la malattia, di cui conosceva bene la gravità. Con gli amici che lo andavano a trovare era, come sempre, spiritoso, evitava lamenti sui proprii disturbi e si preoccupava di fare festa ai suoi visitatori, perchè per lui ogni visita ricevuta era una festa.
Aveva un altro grande amore che ha coltivato fino a quando le forze glielo hanno consentito: l'amore alla montagna. Era nato in piena bassa padana, a Soragna, ma a Trefiumi si era subito innamorato delle cime di quelle terre alte. Per diversi anni, d'estate, siamo andati insieme sulle Alpi: lui mi trascinava su per sentieri e rocce impegnative. Lui andava molto più forte di me: saliva come uno scoiattolo, poi si fermava ogni tanto per aspettarmi e mi derideva amabilmente.
Quando era a contatto con la natura si esaltava: una volta arrivato sulla cima e lungo i sentieri della discesa riempiva spesso la valle con il suo robusto e allegro canto di buon tenore e declamava a voce alta versi poetici suoi e dei grandi poeti, di cui conosceva a memoria un vasto repertorio. Stavamo arrampicandoci su per la Ferrata Tridentina: era dura da salire, come ogni ferrata che si rispetta, e sotto di noi c'era un profondo burrone che mi faceva paura.
(di don Domenico Magri 15 gennaio 2000)