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Profili di preti: don Francesco Piazza

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON FRANCESCO PIAZZA
6 ottobre 1922 - 19 novembre 2008

DonFrancescoPiazza

Sulla sua lapide nel cimitero di Ravarano c’è scritto: “Parroco e giornalista”. Proprio così: le due missioni si sono confuse insieme ma senza ostacolarsi. Anzi si sono arricchite a vicenda.Da Lozzola a Vicofertile ha speso il meglio di se stesso come pastore del suo gregge. Come giornalista di Vita Nuova ha saputo “incuriosire” per decine di anni i lettori con la sua rubrica dal titolo “rubato” a Bernanos: “Diario di un curato di campagna”: la si cercava subito aprendo il settimanale. Peccato che non ci sia più!

- nato a Ravarano di Calestano il 6 giugno 1922
- ordinato sacerdote il 22 giugno 1922
- cappellano a Berceto nel 1947
- parroco a Lozzola nel 1948
- parroco a Vicofertile nel 1953 e dal 1963 Economo spirituale e poi amministratore parrocchiale a Vigolante
- iscrizione all'albo dei giornalisti nel 1984
- deceduto il 19 novembre 2008

Don Francesco Piazza era nato nel 1922 a "Ravarano paese appennino". Così infatti iniziava una canzone diventata popolare nella Val Baganza e nella Val Parma, per rievocare una tragedia di tre ragazzi che da Graiana erano stati mandati dai genitori a fare i garzoni presso una famiglia di Ravarano, come purtroppo usava allora a causa della miseria. Questi tre ragazzi erano rimasti sepolti sotto la neve sui monti nella vigilia di Natale, nel tentativo di tornare a casa a fare festa in famiglia.

Io sono nato a Calestano, ma il mio sangue è ravaranese e a questo paese, dove ci sono le mie radici e ancora dei parenti, sono molto legato. La famiglia di don Francesco era una famiglia numerosa, come di solito erano le famiglie in quel tempo. Il papà si chiamava Ludovico e tirava avanti a fatica con un podere fatto di poche mucche e di terreni pendenti verso il sottostante torrente Baganza. Don Francesco ed io eravamo lontani parenti per via di Ludovico che era, mi pare, secondo o terzo cugino di mio nonno paterno Domenico.

La famiglia era senza alcun dubbio di solidi principi religiosi, altrimenti non sarebbe facilmente fiorita una vocazione così preziosa. Ma c'è di più: probabilmente don Francesco, andando in Seminario, ha fatto da traino per la medesima scelta di un altro ragazzo di Ravarano più giovane di qualche anno. Questo ragazzo sarebbe diventato l'indimenticabile don Celestino Abelli, il quale è vissuto non solo di fede, da buon sacerdote quale era, ma anche di musica. Ha rallegrato le valli del Baganza e della Parma con le sue composizioni musicali, eseguite dai cori e dalle bande che lui ha fatto sorgere e diretto e sono risuonate lungo le due valli nelle chiese, nelle strade e nelle piazze dei paesi.

Io di don Francesco ho alcuni ricordi molto belli, che ora si colorano di nostalgia e di rimpianto. 
Alla sera della mia ordinazione sacerdotale (20 giugno 1954) mi ha chiamato a Vicofertile, da buon compaesano, per farmi un po' di festa e per incontrare i parrocchiani, soprattutto i giovani.
Domenica 27 dello scorso aprile mi ha invitato per la celebrazione della Cresima. E' stata una esperienza magnifica: sono tornato a casa entusiasta della comunità cristiana di Vicofertile. 
Questo vecchio parroco, vero patriarca nella sua Parrocchia arricchita da un vero gioiello di chiesa romanica, da lui molto amata e da poco tempo restaurata, "regnava sovrano", con amore e discrezione, fra i suoi collaboratori e animatori, fra i ragazzi della Cresima e le loro famiglie.

E infine c'è un particolare recentissimo che dimostra lo stile di confidenza che c'era fra noi due. Nei giorni scorsi, dal 9 al 14 novembre, sono stato al Monastero di Fonte Avellana per il mio Ritiro annuale. Ho spedito un certo numero di cartoline, ma quando mi è venuto in mente don Francesco (era il giorno 11) ho pensato di scrivergli una lettera, dove gli ho ribadito, tra l'altro, il mio apprezzamento per la celebrazione della Cresima a Vicofertile. In occasione del funerale, ho visto la mia lettera in evidenza sulla sua scrivania, ne ho chiesto la fotocopia e me la sono portata a casa: come ricordo è diventata molto preziosa per me.

A Vicofertile per 55 anni don Francesco ha dimostrato in pieno la sua esuberante paternità e sensibilità di sacerdote ricco di fede e il suo zelo pastorale intelligente, senza che possiamo dimenticare i suoi primi anni di sacerdozio, spesi con entusiasmo in montagna a Lozzola in quel di Berceto. Aveva il dono di una oratoria sacra sostanziosa, perchè sempre aggiornata, e anche piacevole, ma non per questo meno incisiva.

Nei tempi passati, quando erano ancora diffuse, accettava volentieri di predicare le Missioni popolari nelle Parrocchie. Nel 1971, assieme a don Armando Bizzi, è stato venti giorni a Manhattan (New York) in una parrocchia retta dai Salesiani, per predicare agli emigranti italiani e visitarli casa per casa. Ma bisogna ammettere che don Francesco passerà alla storia della Diocesi per la sua penna forbita ed elegante, come collaboratore di Vita Nuova, di cui è stato anche vice-direttore per un certo periodo.

Non esagero se affermo che, a detta di molti, nel "Diario di un curato di campagna" il suo era il primo articolo che si andava a cercare, perchè lui sapeva incuriosire i lettori con le sue cronache sapide, presentando le figure dei preti e le vicende della Diocesi, forse ritenute minori, ma non per questo meno interessanti e significative. In certe occasioni e celebrazioni compariva, discreto e quasi inosservato, con la sua piccola macchina fotografica e faceva il lavoro di foto-reporter per i suoi articoli su Vita Nuova. Gli dobbiamo molta riconoscenza anche per questo.

Il funerale a Vicofertile, venerdì 21 novembre, è stato proprio "un bel funerale": anche i funerali possono e debbono essere belli!
Tutti hanno fatto la loro parte perchè il funerale fosse bello, a cominciare dal vescovo. Con una omelia commovente, ha rievocato le ultime ore di vita di don Francesco, perchè era andato a fare visita alla Parrocchia martedì sera 18 novembre, proprio quando cominciava a stare male. Ha raccontato che don Francesco, già sofferente, ha celebrato il suo addio alla comunità facendo risuonare a uno a uno i nomi dei suoi collaboratori e amici. Ha elogiato i suoi parrocchiani che, soprattutto in questi ultimi anni, lo hanno "custodito" con amore e non gli hanno fatto mancare nulla in Canonica.

E poi i preti, tanti preti, con il rimpianto perchè le loro file si assotigliano sempre più. E poi i fedeli, tanti fedeli, parrocchiani e amici, che hanno gremito la Chiesa e hanno reso ancora più struggente il distacco di don Francesco dalla sua Sposa, amata appassionatamente per 55 anni. E poi i bambini schierati ai lati dell'altare, che piangevano senza ritegno contagiando anche l'assemblea. E poi il coro parrocchiale: cantavano e piangevano.
E poi... e poi... la partenza da Vicofertile per il ritorno a quel paese dove faceva il pastorello delle pecore di famiglia e dal quale era partito tanti anni fa per andare in Seminario e iniziare così la sua magnifica avventura.

Per raggiungere il cimitero, il carro funebre è passato vicino alla casa paterna e ai campi del vecchio Ludovico e dei suoi figli.
Ora le spoglie mortali di don Francesco riposano lì, nel cimitero di Ravarano, in attesa della Resurrezione.
Già..... a "Ravarano paese appennino"!

(tratto dai ricordi di don Domenico Magri 2008)


Profili di preti: don Raffaele Dagnino

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON RAFFAELE DAGNINO
21 ottobre1905 - 14 novembre 1977

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Passano gli anni, passano i decenni, ma don Dagnino è ancora sulla bocca di tanti. E come si fa a dimenticare un prete dalla personalità così forte? Ha segnato un’epoca della Diocesi e ha traghettato non solo gli altri ma anche se stesso da un pre- Concilio rigido e ingessato a un post-Concilio ardente ed esuberante. La sua è stata una voce chiara e senza sottintesi che coinvolgeva tutti, anche i “piani alti” della Diocesi, per la franchezza che a volte sapeva di profetico e non faceva sconti a nessuno. Sembrava un “Savonarola” in formato locale. Quanto sarebbe ancora utile oggi un prete così! Ha avuto la saggezza di ritirarsi dalla Parrocchia al momento giusto.Il suo funerale è stato un trionfo: dopo il funerale di Padre Lino, in Oltretorrente non ci si ricordava di un funerale così imponente e commosso per un sacerdote.

- nato a S.Secondo il 21 ottobre1905
- servizio militare a Roma nel 1925-1926 prima di entrare in Seminario, proveniente dalla facoltà di medicina.
- ordinazione sacerdotale: 9 luglio1933
- laureto in scienze naturali nel 1941
- vice-rettore del Seminario Maggiore: 1932-1939
- assistente diocesano Unione Uomini: 1940-1942
- assistente provinciale ACLI: 1946-1966
- parroco a S. Maria Maddalena: 1939-1943
- parroco a S. Giuseppe: 1943-1977
- ritirato dalla Parrocchia nel settembre 1977 e nella comunità presbiterale di Ognissanti-S. Maria del Rosario
- deceduto improvvisamente il 14 novembre 1977 alle Piccole Figlie



Il mio ricordo di don Raffaele Dagnino a 30 anni dalla morte

Quando ero ancora in Seminario avevo sentito parlare di don Dagnino, che era stato un vice-rettore molto severo ed esigente nel fare osservare il regolamento.
Appena ordinato sacerdote, nel 1954, sono stato mandato a Fornovo come cappellano di don Giuseppe Malpeli, il quale a sua volta anni prima era stato cappellano di don Dagnino. A Fornovo ho avuto modo di ascoltare da don Malpeli dei frequenti riferimenti alle caratteristiche temperamentali di don Dagnino e al suo stile pastorale. Don Malpeli mi ha sempre dimostrato stima e ammirazione per don Dagnino, dal quale deve avere imparato anche il rigore morale, la passione pastorale e la severità delle direttive, che io avevo così occasione di sperimentare a Fornovo giorno per giorno. Per un certo verso mi sento pastoralmente "nipote" di don Dagnino, anche se ben lontano dalla sua personalità e diverso dal suo carattere e dal suo tipo di sensibilità. Ma appunto per questo mi sono molto arricchito a contatto con lui.

Don Malpeli mi parlava anche della famiglia di don Dagnino e cioè dei genitori e della sorella Carmela, che vivevano in canonica con lui.
Ricordo sempre l'episodio gustoso, che mi ha raccontato, della pentola. Don Malpeli, giovane e con tanto appetito, era abituato in famiglia a Berceto ad andare in cucina a vedere che cosa bolliva in pentola. Appena arrivato in canonica a S. Giuseppe, pensava di poter fare la stessa cosa. La prima volta gli è andata bene nel sollevare il coperchio e ha visto che cosa si stava preparando per il pranzo. Il giorno dopo la Mamma di don Dagnino aveva però provveduto a mettere due coperchi e così don Malpeli in questo modo ha imparato la lezione.

Il mio primo impatto con don Dagnino l'ho avuto quando nel marzo del 1958 sono diventato parroco di Ognissanti e suo confinante. Non è stato un impatto molto morbido, per via del Teatro Pezzani, costruito proprio a ridosso della Chiesa di Ognissanti, ma preso in consegna dalla Parrocchia di S. Giuseppe e inaugurato circa un mese dopo il mio ingresso tra i mugugni dei parrocchiani di Ognissanti che si erano sentiti esclusi dalla gestione del teatro, dopo che si era partiti insieme ed avevano raccolto anch'essi delle offerte per la costruzione.
Ma io ero troppo giovane (avevo 26 anni) e inesperto, ero appena arrivato, non c'ero alla nascita del progetto e quindi non ho preso posizione.

Tutto questo non non mi ha impedito, nonostante la differenza di età, di intrattenere un rapporto di grande intesa con fiducia reciproca, che ha avuto il suo culmine negli ultimi due mesi e mezzo della sua vita, che lui ha trascorso in S. Maria del Rosario con noi preti e che mi hanno tanto arricchito.
Negli anni della mia vita ad Ognissanti e a S. Maria del Rosario, al mattino presto c'era l'occasione per le confidenze sui problemi pastorali delle nostre due Parrocchie, sulla vita della Diocesi e della società, perchè lui, lo sappiamo bene, era un attento osservatore e un severo "opinionista": io prendevo la bicicletta e lo andavo a trovare nel suo studio nel mezzanino della canonica. Quante cose ho imparato da lui!

Gli facevo anche da autista in Diocesi e anche fuori Diocesi: e intanto si parlava... Era soprattutto appassionante il racconto delle sue vicende drammatiche durante la guerra per salvare i suoi parrocchiani e i rischi che correva nell'affrontare senza mezzi termini anche il comandante tedesco, che una notte lo ha mandato a prelevare da due soldati, ma per parlare poi con lui di Bibbia.

Posso dire che ho seguito il suo "travaglio di parto" nell'abbandonare la classica mentalità preconciliare, per abbracciare le più avanzate interpretazioni ecclesiali del Concilio e per questo accusato di giovanilismo, lui, ormai anziano e che era partito da tanto lontano: chi l'avrebbe mai detto, dopo averlo conosciuto come era negli anni '40 e '50?
Ma proprio questa capacità di rimettersi in gioco, dimostra la sua onestà intellettuale e spirituale davanti a Dio e davanti alla propria coscienza: è stato un grande.

Sapete che cosa mi viene da dire? Quanto ci farebbe comodo oggi don Dagnino, se fosse ancora qui, lui un tipo così sanguigno e ruvido, con i suoi discorsi profetici! Erano discorsi spesso duri e oltretutto sgradevoli, sembrava un "Savonarola" in formato locale, ma sempre supportati dalla testimonianza di una vita fedele alla Chiesa e al suo sacerdozio.
Dal 1977 ad oggi sono successe tante cose nella Chiesa, nella società italiana e nel mondo: ogni tanto mi chiedo che cosa direbbe don Dagnino, che giudizio darebbe delle vicende, a volte così sconcertanti, che ci hanno coinvolto in questi 30 anni. Come era acuto, tagliente ed evangelico nei suoi giudizi sulle vicende ecclesiali e sociali ricorrenti! Come ci manca!
E ci manca anche il suo cuore grande grande. Aveva l'orecchio teso prima di tutto ad ascoltare il grido dei più deboli e poveri, che erano così numerosi, soprattutto nel primo dopoguerra, nella sua Parrocchia che è il baricentro popolare e schietto dell'Oltretorrente, una Parrocchia che lui percorreva continuamente in lungo e in largo in sella alla sua bicicletta (ah, la pastorale della bicicletta!).

Devo dire che è stato molto onesto nel rendersi conto che non poteva più fare il parroco in maniera efficiente e per questo si è ritirato dalla Parrocchia, provando una pena indicibile, ma senza tentennamenti: è stato uno strappo troppo doloroso per lui. Ho sempre pensato che questo distacco ha influito negativamente sulla sua salute. (Parole captate mentre telefonava: "Ma come vuoi che io stia? Ho un male dentro, un peso grosso qui nel cuore: è la Parrocchia di S. Giuseppe!")
E' stato molto saggio come prete a cercare, non una sistemazione qualsiasi per una vita tranquilla da pensionato, ma a cercare invece una comunità di preti, per poter dare e ricevere e vivere la dimensione comunitaria, che dovrebbe essere connaturale per tutti i preti. E' stato felice, ma di una felicità inesprimibile, nel sentirsi accolto nella nostra Comunità: deve essere stata l'ultima grande gioia della sua vita terrena.
E si è messo subito a praticare quella esperienza pastorale che gli era particolarmente congeniale: la cura e la visita assidua dei malati.

In più devo dire che quando è venuto con noi, ho conosciuto un don Dagnino cambiato dal punto di vista temperamentale: non più austero e severo, ma perfino più dolce. Ha contribuito a ciò anche la frequentazione del fratello saveriano Padre Amato, che certamente gli ha fatto riprendere contatto con i ricordi di famiglia, che fanno sempre bene al cuore. 
Infatti in quei due mesi e mezzo, P. Amato veniva spesso a cenare con noi in Via Isola e mentre noi preti uscivamo dalla sala da pranzo, lui rimaneva a conversare con il fratello don Raffaele. Un dialogo certamente recuperato dopo anni. Infatti, me lo ha confidato lo stesso P. Amato: in precedenza, quando si incontravano per strada (e avveniva solo per caso!) uno diceva - oh! - e l'altro rispondeva - oh! -, ma non si fermavano a parlare.

Il giorno giovedì 10 novembre si è sentito male. Io ero agli Esercizi spirituali e sono ritornato immediatamente, anche perchè gli era morto il fratello Vincenzo veterinario. Il suo medico, subito chiamato, pensava si trattasse di dolori di artrosi.
Sabato mattina 12 ha voluto farsi accompagnare da me al funerale del fratello a Ciano d'Enza, ma non si è sentito di concelebrare. Domenica 13 è rimasto in casa e gli abbiamo portato la Comunione. Al pomeriggio ha ricevuto la visita della sorella suora Andreina e di altre persone che gli hanno fatto buona compagnia.
Lunedì mattina, 14 novembre verso le 6,30 gli ho dato un tè caldo dopo che aveva trascorso una notte insonne. Dietro consiglio del suo medico, prima delle 8 l'ho portato alla Casa di Cura Piccole Figlie: lui teneva in mano il Breviario con dentro il suo testamento. E' stato un tragitto inquieto e pervaso da preoccupazione per ambedue. Davanti alla camera che gli era stata assegnata ha messo una mano sulla spalla dell'infermiera dicendo: "Ma guarda un po', sono sempre andato all'Ospedale per gli altri, questa volta sono venuto per me".

I funerali. Dopo la Messa un corteo senza fine muove da Borgo S. Giuseppe fino al cimitero della Villetta.
Io mi sono subito recato nella Chiesa di Ognissanti per celebrare la Messa delle 8, ma prima delle 9 ero di nuovo in Casa di Cura. L'ho trovato morto, steso sul pavimento. E c'era il Breviario sul tavolino, aperto sulla preghiera di Lodi.
Sabato mattina, mentre facevamo colazione assieme al compianto don Antolini, prima di andare al funerale del fratello, a un certo punto e improvvisamente ha puntato il dito verso di me e mi ha detto: "Sappi che i Dagnino non dimenticano!"
Questa frase mi accompagna sempre e me la sento come una carezza. Sono sicuro che don Dagnino, prete di parola, continua a ricordarsi di me presso Dio.
E questo non è poco, dopo trent'anni, per me che sono ormai un prete vecchio. Se non lo sapete, ho superato gli anni di don Dagnino.
E purtroppo non posso dimenticare quel mattino di lunedì 14 novembre 1977, quando l'ho visto steso bocconi sul pavimento della camera della Casa di Cura.
Post scriptum: Mi piace aggiungere la confidenza di un avvocato che recentemente mi ha ricordato la sua esperienza di chierichetto di don Dagnino. Ha imparato, seguendo don Dagnino nei funerali, a non avere paura di vedere i morti e soprattutto, nelle benedizioni delle case, ha ammirato la sua attenzione concreta e operativa per le famiglie povere (allora erano tante!) della parrocchia di S.Giuseppe. Questo amore ai poveri lo ha sensibilizzato anche come avvocato.

(tratto da ““I miei preti...i nostri pretiI”, I edizione, di don Domenico Magri - Grafica Langhiranese 2008)


Profili di preti: mons. Armando Bizzi

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

MONS. ARMANDO BIZZI
10 agosto1928 – 11 novembre 2015

MonsArmandoBizzi

Nella sua vita di prete ha sempre dimostrato grande fede ed entusiasmo nella sua azione pastorale. Sapeva sempre esprimere la dolcezza del suo temperamento, che alle volte poteva diventare fragilità nelle scelte della vita e nel comportamento.

- nato a Calerno (S. Ilario d’Enza) il 10 agosto 1928
- ordinato presbitero il 29 giugno 1952
- coadiutore a Noceto nel 1952
- parroco a Respiccio nel 1955 e a Vizzola nel 1963
- consulente Ecclesiastico A.I.M.C. nel 1967
- parroco a S. Bernardo degli Uberti nel 1971
- vice assistente regionale aspiranti di A.C. nel 1958
- parroco a Vigatto nel 1984
- notaio della Curia vescovile nel 1984
- vice assistente A.C.I. Settore Adulti nel 1987
- segretario Moderatore della Curia nel 1992
- delegato Regionale FIES nel 1999
- parroco di Antesica, Cozzano, Riano, Orzale nel 2000
- prelato d’Onore di S.S. nel 2003
- confessore ordinario Monastero di Lagrimone nel 2010
- deceduto all’ospedale di Parma 11 novembre 2015

Il ricordo di don Armando che ho scritto a Villa S.Ilario (Porporano) mercoledì 11 novembre 2015 nel giorno stesso della morte

Mons. Armando Bizzi, che è venuto a mancare all’ospedale nella notte appena trascorsa, ha certamente fatto la sua parte per il Regno di Dio nella Diocesi, con le fatiche, le sofferenze, le amarezze, ma anche con le gioie che accompagnano ogni mortale e quindi anche i preti. 

Era nato a S. Ilario d’Enza, ma è cresciuto nella parrocchia di Pizzolese, ispirato spiritualmente e nella vocazione dal grande parroco mons. Giuseppe Coruzzi. E’ stato ordinato sacerdote nel 1952 e mandato subito cappellano a Noceto, un cantiere pastorale aperto, ricco di iniziative con l’oratorio in particolare, pieno di ragazzi e giovani da seguire per aiutarli a crescere.

Da Noceto è andato parroco a Respiccio nel 1955, quando io ero cappellano di Fornovo ed è lì che abbiamo avuto l’occasione di conoscerci da vicino e collaborare nella pastorale sotto la guida sapiente di don Malpeli e diventare amici. Quante ore di confessionale insieme nell’antica e suggestiva pieve romanica di Fornovo! Da Respiccio è passato a Vizzola-Riccò, dove ha costruito la nuova chiesa con il contributo determinante dell’industriale Marazzi.

E’ sceso a Parma nel 1971 e insieme a don Angelo Tamani e al compianto don Armando Moretti ha avviato la vita pastorale della nuova parrocchia di S. Bernardo fino al 1984, anno in cui è andato a Vigatto dove è rimasto parroco fino all’anno scorso. Nel frattempo ha lavorato per anni nella cancelleria della Curia, è stato assistente diocesano del ramo ragazzi dell’Azione Cattolica, ha insegnato Religione nelle scuole, ha fatto la spola per alcuni anni fra Vigatto e Lagrimone come animatore del centro di spiritualità nella Casa del Padre accanto al Monastero delle Monache Clarisse. Era infatti un bravo maestro di spirito, con un taglio ovviamente in linea con la sua sensibilità temperamentale: ha fatto parte della FIES (Federazione Italiana Esercizi Spirituali) facendosi apprezzare per la sua partecipazione attiva e responsabile.

Ma non è tutto! La cosa forse più singolare della sua vita di prete è questa: il vescovo Bonicelli, pur mantenendolo parroco di Vigatto, gli ha affidato la cura di Cozzano, Antesica, Riano e Orzale, dove fino a qualche anno prima era stato parroco il santo prete don Dario Porta. E’ facile immaginare e quindi ammirare ancora una volta la sua disponibilità e il suo impegno in anni per lui non più giovanili.

E’ arrivato a Villa S.Ilario nel mese di novembre dell’anno scorso. Me lo sono visto davanti in condizioni ben diverse da come l’avevo conosciuto e accostato per tanti anni. Anche per lui c’è stata tutta l’accoglienza e la cura premurosa da parte del Personale e in particolare delle Suore. L’ho visitato l’ultima volta all’ospedale domenica scorsa 8 novembre: una preghiera, una benedizione e un saluto affettuso, senza capire se riusciva a seguire la mia preghiera e le mie parole.

Nella sua vita di prete ha sempre dimostrato grande fede ed entusiasmo nella sua azione pastorale. Sapeva sempre esprimere la dolcezza del suo temperamento, che alle volte poteva diventare fragilità nelle scelte della vita e nel comportamento. Stamattina In Villa S. Ilario a colazione nel nostro refettorio e a Messa in Cappella ho guardato con rammarico e nostalgia il suo posto vuoto: è il segno di un altro posto vuoto lasciato da un valido prete nel nostro presbiterio.

Grazie, caro don Armando, per la tua vita di sacerdote e per la sofferenza che hai certamente saputo offrire per tutti noi in questi mesi di malattia.

(tratto dai ricordi di don Domenico Magri 2015)


Profili di preti: San Guido Maria Conforti

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

SAN GUIDO MARIA CONFORTI
30 maggio 1865 –  5 novembre 1931

SanGuidoMariaConforti

Il prossimo 5 novembre è il giorno anniversario della morte (1931) e il giorno della commemorazione liturgica di san Guido Maria Conforti.
Ma che vescovo Guido Conforti! E difatti è stato dichiarato santo, ed è frutto della nostra terra e della nostra Chiesa diocesana. Non solo: ha varcato i confini della Diocesi con i suoi figli Saveriani, arrivando fino alla estremità del mondo, secondo il comando del Signore. Che cosa poteva “sognare” di più un ragazzino nato a Casalora di Ravadese, a pochi chilometri da Parma? Eppure il sogno si è avverato in tutta la sua ampiezza e profondità: un prete uscito dal nostro Seminario e ordinato presbitero in Cattedrale, un vescovo che a Parma ha fatto il vescovo davvero per tanti anni ed è riuscito ad attuare un progetto missionario audace e quasi temerario per quei tempi, con la fondazione dell’Istituto Missioni Estere. E adesso che abbiamo un Santo in Paradiso e un Santo da sentire più nostro che mai, come Chiesa di Parma dobbiamo coltivare la coscienza di questa grazia.

- nato a Casalora di Ravadese (PR) il 30 maggio 1865
- alunno prima della scuola dei Fratelli cristiani e poi del seminario di Parma
- ordinato sacerdote il 22 settembre 1888 nel Santuario di Fontanellato
- fondatore nel 1895 dell'Istituto missioni estere intitolato a san Francesco Saverio, approvato dal Vescovo di Parma nel 1898 e definitivamente dalla Santa Sede nel 1921
- vicario generale della Diocesi di Parma nel 1895.
- arcivescovo di Ravenna nel 1902
- coadiutore nel 1904 del vescovo di Parma mons. Francesco Magani
- vescovo di Parma nel 1907
- morto a Parma il 5 novembre 1931
- beatificato il 17 marzo 1996
- canonizzato il 23 ottobre 2011
- le sue sante spoglie sono collocate nel santuario a lui dedicato all'Istituto missioni estere.

Le mie riflessioni su San Guido Conforti

Sono nato pochi mesi prima della morte di mons. Conforti e sono entrato in Seminario dieci anni dopo per respirare il fresco profumo della ammirazione per questo vescovo santo. C'ero anch'io alla solenne traslazione dalla sua salma dalla Cattedrale all'Istituto Missioni Estere e nel mio cuore di piccolo seminarista in quella occasione sono echeggiate le parole forti e appassionate di P. Luigi Grazzi alla folla di fedeli raccolti davanti all'Istituto delle Missioni Estere. Ogni anno il 5 novembre, in Cattedrale c'era il solenne Ufficio funebre nell'anniversario di mons. Conforti. Anch'io ho gioito per la sua beatificazione e gioisco ancora di più oggi per la canonizzazione.

Come Capitolo della Cattedrale, d'accordo con la Fabbriceria, stiamo studiando un progetto per un segno adeguato di mons. Conforti in Cattedrale: è stata per tanti anni la sua Cattedrale! Collocheremo la sua Reliquia insigne, già a nostra disposizione, in modo che i fedeli possano riconoscerla e sostare in preghiera.
Ho sempre gustato le tante testimonianze di quelli che lo avevano conosciuto di persona, a cominciare dai tanti che si "vantavano" di essere stati cresimati dal santo Vescovo. Dico di più: ho avuto la fortuna di ascoltare più di una volta un mio parente, Angelo Calzolari, che era stato al servizio personale di mons. Conforti a Ravenna e poi a Parma nel primo periodo del suo episcopato. Me ne parlava con "devozione", quasi anticipando il giudizio della Chiesa.

Ho letto i volumi di P. Teodori con la ricca documentazione su quello che mons. Conforti ha fatto: una documentazione che vale più dei discorsi elogiativi.
Tutta Parma e in particolare la Chiesa di Parma ha il merito di avere "generato" questo campione di santità, ma ne ha avuto e ne ha un ritorno straordinario, perché mons. Conforti ha fatto conoscere in benedizione il nome della nostra terra e della nostra Chiesa parmense in tutto il mondo con i suoi Missionari che partono da Parma. Con tutto il rispetto per tutti gli altri motivi di orgoglio che ha Parma, è proprio un personaggio come san Guido Conforti che ne è il grande valore aggiunto.

Non bisogna poi dimenticare che i missionari saveriani, se sono andati e vanno in tutto il mondo a predicare il Vangelo, hanno pure reso e rendono un servizio prezioso e insostituibile alla nostra Diocesi con la loro disponibilità totale a sostenere le celebrazioni e la pastorale nelle nostre Parrocchie. Come faremmo senza i saveriani?
Ormai nella coscienza e nel cuore del clero e dei cristiani di Parma si è sedimentata una grande ammirazione e riconoscenza per il dono di san Guido ricevuto dal Signore e per i Missionari saveriani, figli di questo santo e nostri fratelli di adozione.
Il santo vescovo Guido sarà sempre un segno di speranza e di grazia innalzato per tutti noi. E avremo un protettore in più: ne abbiamo bisogno!

(articolo pubblicato nel settimanale diocesano Vita Nuova del 15 ottobre 2011)


Profili di preti: mons. Sergio Chezzi

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

MONS. SERGIO CHEZZI
21 marzo 1930 - 4 novembre 2012

MonsSergioChezzi

Un grande dono di Dio per la Chiesa di Parma con la sua fede e la sapienza dello Spirito. Era il “don Sergio” cui tanti, e non solo seminaristi e sacerdoti, ricorrevano per farsi guidare spiritualmente, chiedere consigli e pareri. Era la saggezza “istituzionalizzata” dello Spirito nella Diocesi di Parma!

- nato a Copermio di Colorno il 21 marzo 1930
- ordinazione sacerdotale 20 giugno 1954
- coadiutore a Colorno dal 1954 al 1957
- laureato in filosofia all’Università cattolica di Milano
- vice rettore del Seminario minore dal 1957 al 1962
. direttore spir. del Seminario maggiore dal 1962 al 2001
- canonico della Cattedrale dal 1965 al 1978
- direttore Ufficio Liturgico diocesano dal 1976 al 1978
- parroco di S. Quintino dal 1978 al 2012
- incaricato formazione ministeri dal 1985 al 1988.
- deceduto nella casa di cura Piccole Figlie il 4 novembre 2012.

 

Il mio ricordo di don Sergio scritto il mattino del 4 novembre 2012, poche ore dopo la sua morte

Eravamo in dodici, quando il 20 giugno 1954 siamo stati ordinati sacerdoti in Cattedrale da mons. Colli. Ora, con il pio transito di mons. Sergio Chezzi, siamo rimasti in cinque.
Ma lui, don Sergio (posso dirlo?), era il fiore all'occhiello della nostra classe e noi ci sentivamo onorati e orgogliosi di avere un confratello così speciale cresciuto con noi.
E' stato un sacerdote che si è donato alla Diocesi nel senso vero e completo del termine, come cappellano di Colorno, parroco esemplare di S. Quintino e quasi 40 anni di servizio prezioso e delicato come Direttore Spirituale nella preparazione dei seminaristi al sacerdozio.

Tanti preti più giovani di me potrebbero parlare benissimo di lui, del suo stile discreto ma efficace nel proporre in modo persuasivo il cammino formativo al sacerdozio.
Don Sergio non amava imporre, ma cercava di fare brillare davanti ai giovani la futura vita sacerdotale come "fatale" e ineludibile attrazione.
Per questo ha saputo prima di tutto conquistarsi la stima e la confidenza totale dei seminaristi che poi hanno continuato anche da sacerdoti a seguire la sua direzione spirituale.
Quanti segreti delicati, ansie, gioie e amarezze conservava gelosamente nel suo cuore!

Ha dovuto accettare negli anni '60 e '70 il fenomeno doloroso degli abbandoni, non solo dei seminaristi ma anche dei preti giovani: Dio solo sa quanto ha sofferto!Ma va precisato che questo fenomeno va ben oltre le motivazioni locali e va iscritto in un travaglio dell'epoca per tutta la Chiesa.Aveva una cultura profonda, consolidata alla Cattolica di Milano con la laurea in filosofia. Non amava però esibirla, ma si intuiva il suo livello culturale nelle meditazioni, nei vari interventi davanti al Clero e nel suo ruolo di insegnante in Seminario e nella Scuola di Formazione Teologica.

Come parroco di S. Quintino don Sergio ha espresso in uguale misura le sue doti: alla parrocchia non ha fatto certo pesare il suo impegno di Direttore spirituale in Seminario.
Di più: questo doppio impegno, per un provvidenziale principio di complementarietà, gli ha permesso di essere ancora più ricco nel dispensare i valori spirituali e pastorali in ambedue gli ambiti.
A don Sergio è toccata una prova terribile nella malattia che lo ha portato alla morte: una malattia lunga e inabilitante.
L'Ospedale, la Casa di Cura, Villa S. Ilario e infine l'Hospice Piccole Figlie sono state le tappe del suo Calvario, che lui ha scalato fino alla cima, bevendo il calice amaro della sofferenza fino all'ultima goccia, ma con molta dignità e fede. Ha dimostrato a tutti noi di credere per primo a tutto quello che nella vita ha insegnato agli altri. La malattia, che gli ha causato tante sofferenze nel corpo e nello spirito, mi fa venire alla mente la frase del cap. 53 del profeta Isaia: "Si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori." Così pure mi viene da pensare all'inizio del libro delle Lamentazioni: "O voi tutti che passate per la via, fermatevi per vedere se c'è un dolore simile al mio dolore."

Don Sergio ha avuto tanta sofferenza, ma anche tanto conforto dalla vicinanza affettuosa e premurosa dei nipoti che lo hanno seguito e curato come un Papà.
Anche il Vescovo e noi preti abbiamo fatto la nostra parte con le visite frequenti: don Sergio meritava tutto questo, perchè troppo ha fatto per noi e per la Diocesi.
Adesso dovrà essere nostra cura non disperdere la preziosa eredità che ci ha lasciato.
Addio, caro don Sergio, prete mite ed umile di cuore! Sei arrivato al termine della tua vita terrena affaticato e stanco.
Ora troverai finalmente ristoro, pace e gioia infinita presso quel Dio che tu hai amato fin dalla tua giovinezza e hai fatto amare da tutti quelli che hai incontrato sulla tua strada.
Grazie per tutto quello che sei stato e hai fatto per noi e... ancora addio! 

Prefazione all’opuscolo su Mons. Sergio Chezzi uscito nel mese di ottobre 2013. La formazione sacerdotale di don Sergio

Ho accettato volentieri (e non poteva essere diversamente!) l’invito di Roberta e Claudio, nipoti di mons. Sergio Chezzi, che lo hanno seguito con amore come dei figli, a scrivere alcuni ricordi con particolare riferimento alla prima parte della nostra vita come compagni di classe in Seminario e come giovani confratelli sacerdoti. I nostri percorsi sacerdotali, dopo che per decenni si erano incamminati su strade diverse, ma sempre al servizio della nostra Chiesa di Parma, si sono ricongiunti ancora in Villa S. Ilario negli ultimi mesi veramente dolorosi della malattia di don Sergio. Con la mia frequentazione quotidiana al suo capezzale si è trattato di un commovente rimbalzo di rinnovate sensazioni di fede e di affetto fra noi due.

Ma adesso cerco di descrivere con l’aiuto della memoria, come mi è stato richiesto, gli anni della nostra preparazione al sacerdozio e dei nostri primi passi come preti.
Ci siamo incontrati e conosciuti in Seminario Minore nei primi giorni dell’ottobre 1942 in I Ginnasio: allora si chiamava così quella che oggi si chiama 1° Media. Eravamo in 46! Avevamo come decano il seminarista del Maggiore Fermino Mora. Il rettore era don Pietro Triani, il vice rettore don Angelo Andrei. I nostri insegnanti, per quello che ricordo, erano don Alberto Baroni, don Giacomo Zarotti, don Angelo Andrei. Don Sergio è stato Direttore Spirituale del Seminario per 39 anni

Al sacerdozio siamo arrivati in dodici: Agnetti Bruno, Baioli Luigi, Bocchi Giacomo, Calza Renato, Chezzi Sergio, Ferrari Roberto, Ferrari Silvio, Magri Domenico, Mattioli Gianni, Pasquali Giulio, Petazzini Severino, Pietro Viola. Chi ha dimestichezza con la nomenclatura presbiterale, può vedere chi è rimasto di noi dodici, ordinati in Cattedrale da mons. Colli il 20 giugno 1954.
Non è stata una vita facile nei primi anni del Seminario Minore: eravamo già in piena guerra e vigeva una disciplina eccessivamente rigorosa per dei ragazzi appena usciti dalla fanciullezza e privati del calore della famiglia. Ma questo forse ha contribuito a darci un solida ossatura e una adeguata formazione già negli anni del Ginnasio, aiutati nella direzione spirituale prima da don Amilcare Pasini (che avremmo poi ritrovato al Seminario Maggiore) e poi da don Andrea Maggiali.

Mi pare di poter dire che don Sergio in fatto di spiritualità è stato trainante per tutti noi: un tipo mite e riservato che non amava farsi notare, ma era inevitabile notare ed ammirare per lo spirito di preghiera e per il comportamento sempre corretto. E anche a scuola era fra i più brillanti: lo dimostrerà quando nel 1950 sarà subito promosso a luglio all’esame di maturità classica come privatista al Romagnosi e, una volta sacerdote, nella laurea conseguita all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
In corrispondenza della II e III ginnasio è piombato anche sul Seminario il turbine della guerra in atto. Ricordo gli allarmi notturni che ci facevano sobbalzare e scendere in fretta per trascorrere il tempo ne¬cessario nei sotterranei del Seminario che servivano per l’occasione come rifugio antiaereo. E ricordo il fragore lugubre delle bombe nel mezzogiorno del 25 aprile 1944, che non avevano colpito il Seminario Minore, ma il Seminario Maggiore, pur non facendo vittime fra i seminaristi. Tutto questo aveva in-dotto il vescovo Colli a mandare subito tutti a casa. Da quel momento ci siamo trovati “sbandati” come seminaristi. Con la nostra classe anche noi ci siamo ritrovati in Seminario solo nel maggio 1945 per sostenere in luglio l’esame di III ginnasio presso l’Istituto La Salle.

Pensando al mio senso di smarrimento in questo ultimo anno di guerra e al “salvataggio” in famiglia fra tanti pericoli, paure e sofferenze, posso immaginare la stessa cosa per don Sergio.
Una volta passato al Seminario Maggiore per il Liceo e la Teologia, don Sergio ha dimostrato quanto valeva con la sua personalità e il suo impegno di formazione personale e con il suo esempio nell’ambiente del Seminario. Insomma: era un predestinato ad essere poi quello che in realtà è stato per il Presbiterio e per la Diocesi: un sacerdote eccezionale, che ha riempito decenni interi con la sua personalità ricca di fede e di saggezza dello Spirito. Don Sergio è stato uno straordinario “traduttore” della Parola di Dio ad uso fortunato dei seminaristi e di quanti lo hanno seguito e ascoltato.

Con l’Ordinazione sacerdotale tutti noi sacerdoti novelli ci siamo ovviamente avviati ciascuno per la propria destinazione. Io sono stato mandato cappellano a Fornovo e don Sergio a Colorno. Ma dopo qualche tempo è successo qualcosa che vale la pena raccontare. Si tratta di un episodio che poteva cambiare radicalmente la mia vita di prete e invece ha cambiato la vita di don Sergio. Si doveva scegliere fra noi due, lui cappellano a Colorno e io cappellano a Fornovo. E’ stato scelto don Sergio, che ha cominciato come vice-rettore del Seminario Minore, poi ha continuato come sapiente direttore spirituale di “lungo corso” al Maggiore e come esemplare parroco di S. Quintino.
È proprio vero che tutto è grazia, per la Diocesi e anche per me personalmente. Non ringrazierò mai abbastanza il Signore per il percorso della mia vita sacerdotale e per avere avuto don Sergio come amico, modello di vita sacerdotale e spesso anche come saggio consigliere. Mi ricordo sempre un consiglio prezioso che mi ha dato un giorno: l’omelia deve essere quasi una rilettura e spiegazione della Liturgia della Parola, invece che un semplice spunto o pretesto per le nostre applicazioni pratiche.
Mi auguro che l’oblio non ricada mai su di lui: non lo meriterebbe e sarebbe una colpa e un impoverimento per la nostra vita personale e diocesana. 

(tratto da “VESCOVIPRETISUOREAMICI” di don Domenico Magri Editrice LIKECUBE - 2014)