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Profili di preti: don Roberto Ferrari

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON ROBERTO FERRARI
21 ottobre 1929 - 13 gennaio 2000

DonRobertoFerrari

Prete convinto e fedele, oratore e conversatore brillante, molto colto e senza peli sulla lingua, poeta finissimo dal linguaggio moderno, capace di battute fulminanti, amico straordinario almeno per coloro ai quali è riuscito a svelare le profondità del suo animo e che hanno saputo accettare, anzi addirittura divertirsi, se colpiti dalle sue “stoccate”. Un personaggio non comune!

- nato a Soragna il 21 0ttobre 1929
- ordinazione presbiterale 20 giugno 1954
- parroco a Trefiumi 1954 – 1989
- parroco a Miano dal 1989
- deceduto il 13 gennaio 2000 a Villa S.Ilario.

Nell'ottobre del 1942 non si era presentato da solo in Seminario Minore per frequentare la I classe ginnasiale. Con Roberto Ferrari c'era il fratello gemello Silvio: due gocce d'acqua, come si è soliti dire in questi casi. In principio per noi compagni era un piccolo problema distinguerli. Ma soprattutto dal temperamento dei due gemelli noi abbiamo presto imparato a non confonderli. Silvio era piuttosto introverso e riservato: intelligentissimo pure lui, è stato un bravo sacerdote ed è venuto a mancare nel 1990.
Roberto invece ha fatto capire subito di che lana andava vestito, con il suo modo aperto e sbarazzino di presentarsi e di esprimersi. E non si è mai smentito in tutti i giorni della sua vita: fino all'ultimo. Questo suo stile di comportamento gli procurava ogni tanto qualche problema nel rapporto con i suoi parrocchiani e i suoi confratelli, quando non si era capaci di capire il suo linguaggio, fatto di un genere letterario personalissimo, che si avvaleva spesso di frasi a volte un pò caustiche. Ma l'istinto della battuta era troppo forte in lui: non sapeva resistere! In realtà, a scavargli dentro, forse avremmo scoperto in don Roberto una persona indifesa, bisognosa di affetto, problematica e, tutto sommato, piuttosto fragile di fronte alle difficoltà della esistenza.

Noi preti in particolare dobbiamo forse rimproverarci di avere tenuto le distanze nei suoi confronti: ai preti che gli si sono avvicinati, ha svelato in compenso tesori straordinari di fede (aveva tanta fede!), di affetto, di amicizia sincera, con tratti di sorprendente delicatezza.
E' sempre stato parroco di parrocchie piccole, ma sappiamo che si può dimostrare forte personalità, senza essere parroci di parrocchie grosse e importanti e senza occupare posti di rilievo nell'organigramma ecclesiastico. Nella sua esperienza di giovane parroco a Trefiumi, don Roberto ha saputo fare anche il costruttore, con indicibili sforzi per quei tempi, come è facile immaginare, e poi ha sempre curato con amore le Chiese che gli sono state affidate. Ma non si può dire che don Roberto sia stato un prete di azione, se intendiamo per azione l'agitarsi e il correre freneticamente a destra e a manca. L'azione più importante è quella dello spirito, che si interroga sui grandi problemi dell'esistenza e cerca di trovare risposte alla luce della fede.

Don Roberto non è mai stato in ozio: nella quiete delle sue piccole parrocchie ha studiato, si è sempre aggiornato sulla teologia, sulle Sacre Scritture, sulla pastorale, sulla vita della Chiesa, sulla cultura, sulla realtà sociale contemporanea. Non era un personaggio ripiegato su se stesso. Con lui è scomparsa una biblioteca vivente: sapeva di tutto e su tutto era in grado di dare un suo autorevole contributo sapienziale.

Era poeta: starei per dire un grande poeta. Aveva comunque quello che potremmo chiamare un istinto irrefrenabile per la poesia, che mi fa venire in mente il famoso verso di Ovidio: "et quod temptabam dicere versus erat". Quando gli mandavo nei miei viaggi una cartolina, mi rispondeva puntualmente con qualcuno dei suoi versi poetici. In una sua risposta ho trovato questo breve componimento poetico, datato settembre 1998, quando era già stato colpito dalla lunga malattia:
"Il cuore prima chiede gioia
poi assenza di dolore
poi quegli scialbi anodini
che attenuano il soffrire,
poi chiede il sonno, e infine,
se a tanto consentisse
il suo tremendo Giudice,
libertà di morire".
Sono parole che fanno impressione e dànno la misura di uno spirito pensoso, che aveva i suoi travagli interiori, aggravati certamente dalla sofferenza fisica di quel periodo, e non sapeva che cosa fosse la fede facile: era convinto che la fede facile corre il rischio di diventare fede facilona e la fede facilona non può certamente piacere a Dio.Ho detto che ha sempre curato il decoro delle Chiese che gli sono state affidate: ma bisogna dire che ha curato soprattutto le comunità parrocchiali, cioè le chiese vive di Trefiumi, Rimagna e, ultimamente, di Miano.

Amava le comunità, non in maniera astratta e generica, ma amando i suoi cristiani a uno a uno. Sono stato invitato da lui a celebrare la Messa nella festa del Patrono San Nicola nel mese scorso e ho ammirato l'affetto caldo che regnava in quella giornata fra lui e i suoi parrocchiani: è stata l'ultima festa del Patrono ed è stato uno straordinario canto gioioso di amore sponsale della Comunità per don Roberto, che, a riprova di questo profondo legame affettivo con Miano, ha lasciato detto di esser sepolto qui. Don Roberto ha vissuto diversi mesi di sofferenza e di malattia, prima di spegnersi dolcemente passando dal sonno alla morte.
Tutti quelli che lo hanno accostato in questo ultimo periodo, hanno potuto notare la dignità con cui ha sofferto e la lucidità con cui ha affrontato la malattia, di cui conosceva bene la gravità. Con gli amici che lo andavano a trovare era, come sempre, spiritoso, evitava lamenti sui proprii disturbi e si preoccupava di fare festa ai suoi visitatori, perchè per lui ogni visita ricevuta era una festa.

Aveva un altro grande amore che ha coltivato fino a quando le forze glielo hanno consentito: l'amore alla montagna. Era nato in piena bassa padana, a Soragna, ma a Trefiumi si era subito innamorato delle cime di quelle terre alte. Per diversi anni, d'estate, siamo andati insieme sulle Alpi: lui mi trascinava su per sentieri e rocce impegnative. Lui andava molto più forte di me: saliva come uno scoiattolo, poi si fermava ogni tanto per aspettarmi e mi derideva amabilmente.
Quando era a contatto con la natura si esaltava: una volta arrivato sulla cima e lungo i sentieri della discesa riempiva spesso la valle con il suo robusto e allegro canto di buon tenore e declamava a voce alta versi poetici suoi e dei grandi poeti, di cui conosceva a memoria un vasto repertorio. Stavamo arrampicandoci su per la Ferrata Tridentina: era dura da salire, come ogni ferrata che si rispetta, e sotto di noi c'era un profondo burrone che mi faceva paura.

(di  don Domenico Magri  15 gennaio 2000)


Profili di preti: don Bruno Agnetti

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON BRUNO AGNETTI
19 settembre 1929 - 2 gennaio 1975

DonBrunoAgnetti- nato a Fugazzolo (Berceto) it 19 settembre 1929
- ordinato sacerdote in Cattedrale a Parma da mons. Colli it 20 giugno 1954
- parroco a Cozzanello dal 1954 al 1979
- parroco a Ceda dal 1961 al 1979
- parroco a Casatico e Tiorre dal 1979 fino alla morte
- deceduto a Casatico it 2 gennaio 1985.


Il mio ricordo di don Bruno

Sento il bisogno di stendere un breve ricordo affettuoso di don Bruno Agnetti (19 settembre 1928 - 2 gennaio 1985), mio compagno di seminario, di ordinazione sacerdotale e mio grande amico. La nostra amicizia, gia salda fin dal seminario, è cresciuta negli ultimi anni della sua breve esistenza, quando era diventato parroco di Casatico, che è una frazione di Langhirano dove io sono stato parroco. Prima di approdare a Casatico era stato parroco a Ceda e Cozzanello, frazioni di Monchio. Ho cercato di stargli vicino nelle alterne vicende della sua malattia, che poi lo ha portato alla morte.

Don Bruno era nativo di Fugazzolo (Berceto) e quindi siamo ambedue della stessa Val Baganza. Ho un ricordo molto bello di un giorno felice e di grande fede vissuto insieme: abbiamno celebrato la prima Messa del nostro sacerdozio il 21 giugno 1954 nel santuario della Madonna delle Grazie di Berceto.
E c'era con noi il carissimo don Renato Calza, ora parroco di Bogolese. Quando passo da Fugazzolo, dove è sepolto, faccio sempre una sosta di preghiera e rinnovo cosi la memoria affettuosa del mio amico.
Don Bruno è il caso classico del prete sul quale, in vita, non si sono mai accese le luci della ribalta: rischia di passare inosservato e senza un doveroso ricordo. Se fosse cosi, non sarebbe giusto!

(tratto da “I miei preti .... i nostri preti”  di  don Domenico Magri  Tipografia Langhiranese – 2008)


Profili di preti: don Brenno Tagliavini

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON BRENNO TAGLIAVINI
18 gennaio 1925 – 30 dicembre 2016

DonBrennoTagliavini

Che dire di don Brenno, che ha vissuto una vita così lunga e così operosa? Si possono e si devono dire tante cose di un prete come lui che ha messo a disposizione le sue capacità e il suo tempo per la Diocesi. Ma si deve dire soprattutto che era un prete vero e ha vissuto la sua esistenza da prete vero. Il gaudio del suo Signore è garantito per lui!

- nato a S.Ilario Baganza il 18 gennaio 1925
- ordinato presbitero il 26 giugno 1948
- cappellano a Fornovo nel 1948
- parroco a Roncopascolo dal 1950 fino alla morte
- vicario zonale nel 1978
- presidente diocesano dell’Istituto per il sostentamento dal clero dal 1985 al 2000
- mministratore parr.le di Fraore ed Eia nel 1991
- insegnante di religione nelle scuole
- deceduto in 30 dicembre 1916 a Trecasali

Nato nel 1925 a S.Ilario Baganza, ”ha terminato la sua corsa”, come direbbe S. Paolo, dopo quasi 92 anni di esistenza votata al Signore e alla Chiesa di Parma.
È stato ordinato nel 29 giugno del 1948 dal vescovo Colli. Era un’annata di 14 preti: numero da non credere oggi! Cito solo alcuni compagni di ordinazione che mi vengono in mente: don Guiduzzi, don Azzali, don Baga, don Gabelli, don Moroni, don Cugini.... e don Romeo Mori, diventato monaco camaldolese e morto all’inizio di quest’anno. Don Romeo Mori e don Brenno: gli ultimi due della “nidiata” del ’48.

Il primo impatto con l’esperienza di novello sacerdote lo ha avuto come cappellano di Fornovo accanto al parroco don Gaetano Zilioli. Non è stato un “battesimo” pastorale facile. Dopo due anni, nel 1950, è diventato parroco di Roncopascolo e in seguito anche di Eia e Fraore. È stato parroco di Roncopascolo per 66 anni, fino alla morte, anche se da qualche anno per motivi di salute e di età non era più in parrocchia, ma era ricoverato nella Casa di Riposo Gaj Corradi di Trecasali, dove è stato accolto con sua sorella, curato ed assistito con amore.
Naturalmente come parroco ha sempre fatto in modo esemplare la sua parte di pastore: è stato amato e apprezzato dai suoi parrocchiani. E ora certamente molto rimpianto. Ha visto nascere e ha accompagnato la crescita di tanti parrocchiani. E a tanti parrocchiani ha “chiuso gli occhi” con amore e fede.

Le sue doti di intelligenza e sensibilità gli hanno permesso inoltre di fare lodevolmente il vicario pastorale zonale e la sua vicinanza alla città di svolgere incarichi e servizi importanti e delicati per la curia e per la Diocesi. Con la morte di don Brenno Tagliavini si può dire, secondo una espressione biblica, che è crollato un “cedro del Libano”. Viene a mancare uno dei “senatori” più rappresentativi del Presbiterio parmense.
L’incarico più importante è stato quello di presidente dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero. È stato pure cassiere della curia e insegnante di religione nella scuola delle Orsoline e nel liceo scientifico.

Don Brenno è arrivato alla tarda età nonostante tante difficoltà di salute: anche la sua sofferenza fisica lo ha aiutato certamente a mettere in pratica le opere di misericordia anzitutto con i suoi parrocchiani. Devo ricordare in proposito che quando la curia rimaneva chiusa il giovedì e aveva un giorno di libertà, impegnava la giornata, assieme a un altro curiale “storico” e indimenticabile come don Enore Azzali, a girare per la Diocesi a visitare i preti anziani e ammalati. Non sarebbe una cattiva idea per noi preti, se siamo in grado di “girare”!
Una caratteristica della sua attività pastorale è stata la cura del canto. Ha messo insieme un bel coro, la corale farnesiana, e quando non celebrava, ne faceva parte cantando con entusiasmo e accompagnando il coro regolarmente nelle trasferte canore.

Spero mi sia permesso di concludere con un episodio che ricordo sempre con molto piacere e che mi ha aiutato ad entrare con entusiasmo in Seminario quando ero ragazzo. Allora per i seminaristi la vestizione della talare si faceva in Parrocchia prima di passare al Seminario maggiore: io sono andato in bicicletta da Calestano a S.Ilario Baganza, accompagnato da mia sorella, per assistere al rito della vestizione del giovane Brenno Tagliavini. Anche questo episodio ha contribuito a tener sempre vivo fra noi due un bel rapporto di amicizia.
Dobbiamo dire tutti un grande grazie a don Brenno: è stato servo fedele del Signore e merita di entrare nel suo gaudio!

(di  don Domenico Magri  30 dicembre 2001)


Profili di preti: Giuseppe Faroldi

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

GIUSEPPE FAROLDI
deceduto il 5 gennaio 2007

DonGiuseppeFaroldi

Giuseppe Faroldi era stato ordinato sacerdote nel 1962. Poi ha chiesto e ottenuto dalla Chiesa la dispensa dagli obblighi sacerdotali e dal celibato. Ha formato una famiglia, ricca di sei figli, sempre animata e sostenuta dalla sua fede, che è rimasta esemplare anche nella nuova situazione di vita. È spirato all'ospedale di Vaio il 5 gennaio 2007. È stato molto significativo che al suo funerale siano stati presenti una quindicina di preti, nonostante che l'annuncio della sua morte non sia apparso sul giornale. Una presenza che ha fatto onore ai sacerdoti e all’amico Giuseppe Faroldi.

Testo della mia omelia alla Messa esequiale
Del nostro caro fratello Giuseppe sono stato molto amico: amico nei suoi giorni lieti e amico nei suoi giorni meno lieti.
Ci sono stati certamente molti giorni lieti nella vita di Giuseppe. Basta pensare alla nascita dei suoi sei figli: Domenico (questo nome è stato scelto da lui per amicizia verso di me), Cecilia, Dorina, Paola, Primo, Francesco. Un bimbo (anzi 6!) atteso, che nasce, cresce e viene seguito con amore in famiglia, è sempre un motivo di festa!
Ma ci sono stati anche giorni meno lieti e molto difficili: conoscendo la sua vita, li possiamo immaginare senza bisogno di rievocarli.

Sono stato non solo suo amico, ma, come sacerdote, sono stato anche il suo punto di riferimento con l'accompagnamento spirituale: Giuseppe veniva regolamente da me per il sacramento della Riconciliazione, prima a Parma in Ognissanti e S. Maria del Rosario, poi a Langhirano, ultimamente ancora a Parma e mi seguiva ogni anno alla settimana di ritiro spirituale nel monastero di Fonte Avellana in provincia di Pesaro.
Tutti abbiamo bisogno della misericordia del Signore e tutti quindi abbiamo bisogno di farci perdonare le nostre fragilità. Anche il nostro fratello Giuseppe ha bisogno di misericordia e noi siamo qui a pregare per questo.

Ma non possiamo dimenticare le tante cose buone che ha lasciato a noi come ricordo e che certamente sono per lui una importante e valida "carta di credito" davanti al Signore.
Confesso che sono sempre rimasto stupito e ammirato:
1. per la sua grande fede, che ha sempre cercato di trasmettere ai suoi figli come preziosa eredità, lasciando loro precise raccomandazioni in proposito.
2. per lo spirito di preghiera, l'assiduità ai sacramenti (che ha praticato sempre, fino agli ultimi sacramenti sul letto di morte) e per la sua sensibilità liturgica: sempre fedele alla Lituirgia delle Ore. Andava ogni anno, quando gli era possibile, alla settimana liturgica nazionale.
3. per l'amore alla nostra Diocesi, di cui viveva intensamente le vicende, e alla Chiesa tutta. Nei suoi scritti che ha lasciato, ricorda con affetto la Chiesa cilena e le Piccole Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, che a Santiago stanno vivendo la loro generosa testimonianza e che lui visitava ogni volta che si recava in Cile. Non possiamo dimenticare che ha svolto per diversi anni in parrocchia la missione di catechista e di animatore liturgico e musicale.
4. per l'amore alla famiglia, di cui posso affermare di essere buon testimone: la famiglia, con la preoccupazione affettuosa per la moglie Oriana e per i figli, era l'argomento ricorrente e appassionato delle sue conversazioni con me.

Giuseppe era un bravo musicista: si serviva della musica per lodare il Signore e per il servizio alla comunità.
La religione cristiana è una religione musicale, forse l'unica veramente musicale. Tutto è partito dalla notte di Natale sulla grotta di Betlemme: il Verbo di Dio, fattosi bambino povero, ha rinunciato a tutto, ma non ha voluto rinunciare al privilegio di far scendere dal cielo una moltitudine angelica per cantare e festeggiare la sua nascita.
Basta pensare all'Apocalisse per renderci conto con gioia che il paradiso è una festa permanente all'insegna della musica: se il paradiso non fosse sostanziato di musica, che paradiso sarebbe? Sulla scia del canto di Betlemme, il cristianesimo può vantare un tesoro ricchissimo di musica liturgica e di ispirazione religiosa, con dei capolavori stupendi.
Giuseppe mi confidava che spesso in casa non si limitava a recitare le Ore dell'Ufficio divino, ma le cantava accompagnando il canto con il suono del suo piccolo organo personale.

Gli auguriamo di continuare a suonare in paradiso con il ripieno del grand'organo e di cantare le lodi del Signore a voce spiegata.
Giuseppe, nel suo scritto che ha lasciato, fa questo augurio a se stesso e a noi con queste parole: "che tutti ci possiamo trovare un giorno a cantare le meraviglie dell'amore del Signore".
Infine è bello constatare oggi la presenza di numerosi sacerdoti. È la prova significativa che noi sacerdoti non l'abbiamo mai dimenticato: e come avremmo potuto dimenticare?

(tratto da ““I miei preti....I nostri preti”  di  don Domenico Magri  Editrice Tipo Lito Grafica Langhiranese - 2008)


Profili di preti: don Giuseppe Montali

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON GIUSEPPE MONTALI
17 ottobre 1937 - 28 dicembre 2017

DonGiuseppeMontali

Lettera a don Giuseppe Montali (di don Domenico Magri)

Caro don Giuseppe, prete mite e buono, dal sorriso che parlava più della voce e anche senza voce, adesso che ti sei piamente addormentato nel bacio del tuo Signore, sto pensando alla meraviglia che sei stato per tutta la Chiesa di Parma e per noi che ti abbiamo conosciuto e frequentato.
Ma sei stato una meraviglia anche per il Signore, che ti ha fatto nascere in una famiglia ricca di fede e di figli: i 13 figli della tua mamma Maria e del tuo papà Pietro. Una famiglia di Castrignano che tentava di spremere dai campi il necessario per sfamare questa nidiata numerosa.
Alla sera c’era il rosario in famiglia, guidato e segnato dal tuo papà, che cercava di tenere a bada voi bambini irrequieti. Poi il seminario: con tanti figli era inevitabile che ci saltasse fuori un prete, mentre una figlia entrava nelle suore! E sei stato tu il destinato dal Signore.

Hai fatto i tuoi dodici anni di Seminario e una volta ordinato prete nel 1961, guarda caso, sei stato mandato proprio da me come cappellano nella parrocchia di Ognissanti-Santa Maria del Rosario. C’eri anche tu in quello storico pomeriggio del 30 settembre 1962 a fare la tua parte nel solenne rito della consacrazione della nuova chiesa, celebrato dal vescovo Colli.

Ma nel 1963, dopo appena due anni, sei stato spostato, quando ormai eri entrato nel cuore di tanta gente e tanti ragazzi: come si faceva a non rimanere incantati dal tuo volto fine, sorridente e accattivante?

I vescovi di turno, uno dopo l’altro, si sono accorti che eri sempre pronto a dire di sì. E allora tu non ti sei mai annoiato nella tua vita, segnata da una vera girandola di incarichi. Accettavi regolarmente e tenevi sempre la valigia in mano pronto per partire, con la costante della tua carità che alle volte ti veniva quasi rimproverata come esagerata. Prima sei stato vice rettore del Seminario maggiore accanto a mons. Triani, poi nel 1970 sei stato mandato a dissodare il terreno pastorale nel quartiere dove poi sarebbe sorta la parrocchia di San Paolo. E lì non avevi trovato di meglio, per iniziare, che riunire accanto a un fienile la comunità nascente. Come è sfrenata la fantasia di chi sente l’odore delle pecore!

Nel 1980 sei stato nominato co-parroco a Santa Maria della Pace con altri due confratelli e nel 1989 vice direttore diocesano della Caritas, dove non hai fatto fatica a mettere in pratica tutta la tua sensibilità evangelica verso i poveri. E nel 1991, da buon montanaro venuto da Castrignano, per una decina d’anni sei andato a fare il pastore buono e premuroso a Ranzano e dintorni. Alla fine, nel 2001, sei stato ritenuto il più adatto a sostenere il “mitico” don Pesci, ormai avanti negli anni, in una parrocchia grande e importante come Sorbolo.

A un certo punto è arrivato il sì più difficile, a motivo dell’ictus che il 26 dicembre 2012 ti ha paralizzato e tolto la parola. Allora sei tornato con me: il 17 maggio 2013 ci siamo ritrovati a Villa S. Ilario con gli altri presbiteri anziani. Sono stati alcuni anni sereni, con la celebrazione eucaristica quotidiana e con il pasto in comune che ci ha garantito lo spirito di convivialità. I tuoi e miei confratelli anziani di Villa S. Ilario hanno avvertito il colpo doloroso della tua partenza, ti abbracciano e ti sono anch’essi presenti in spirito accanto a te.
Ma ormai non potevi più parlare! Non potremo mai sapere quello che è passato per la tua mente in questi anni. E adesso ti sei portato i tuoi pensieri in paradiso! Per un singolare fenomeno riuscivi solo a cantare con noi durante la Messa: solo così potevo risentire il timbro della tua voce, della tua bella voce. Per il resto silenzio totale: solo cenni del capo e della mano sinistra. Ma bastava guardare il tuo sguardo per capire e imparare tante cose. E ci facevi tanta tenerezza!

Caro don Giuseppe, amico nei giorni lieti e meno lieti, quanta riconoscenza ti dobbiamo per quello che sei stato per noi! Quante volte dovremmo ripetere la parola “grazie”!
Ora finalmente hai ripreso la parola e puoi parlare ancora davanti al tuo Signore con la lingua sciolta, come e meglio di prima. E allora ti prego: parla, parla, non stancarti di parlare! Parla dei tuoi cari, quelli venuti come te dalla terra benedetta di Castrignano: ti hanno voluto bene e ti hanno seguito con amore fino all’ultimo respiro assieme al personale sanitario, alle suore, a persone amiche speciali; parla dei tuoi confratelli con i quali hai vissuto la reciprocità dell’amicizia e della collaborazione pastorale; parla dei tanti cristiani e amici che hai amato e ti hanno ricambiato; parla dei poveri che hai aiutato passando per esagerato. E parla anche di me: ci conto!
E noi ti ricorderemo, nostro caro don Giuseppe! Non faremo fatica a ricordarti, perché non riusciremo a dimenticarti.
Addio = AD-DEUM!

   tuo don Domenico Magri

 

Ricordo di don Giuseppe Montali (di Francesca Terenziani, a nome della comunità di Sorbolo)

Pensando a don Giuseppe, l’immagine che mi viene subito alla mente è quella del buon pastore.
Per 11 anni don Giuseppe è stato uno dei pastori della comunità di Sorbolo, e ognuna delle pecore a lui affidate ha sentito la sua voce e si è sentita chiamare per nome. Le pecore seguono la voce di chi le conosce, soprattutto se quella voce è dolce e gentile. E la voce di don Giuseppe era dolce e gentile con tutti. Non ricordo di averlo mai visto arrabbiato né di avergli mai sentito dire qualcosa di brusco.

Cosa dire poi di quel suo sorriso che aveva sempre sulle labbra? Non un sorriso di circostanza, ma un sorriso che gli nasceva dal profondo, che infatti non lo ha abbandonato nemmeno durante gli anni della sua malattia, nonostante la fatica e le sofferenze. Quel sorriso nasceva da una fede profonda, dalla certezza che la nostra vita è in mano a Dio, che ci ama sempre e comunque, dalla consapevolezza che anche chi è pastore è a sua volta una delle pecore del gregge di Dio, e Dio lo accompagnerà senza abbandonarlo mai.

La bontà di don Giuseppe si manifestava anche attraverso una grande generosità verso le persone bisognose, alle quali non riusciva a dire di no. Spesso si vuotava letteralmente le tasche per dare tutto quello che aveva. E non solo per le “pecore del recinto”, ma anche per quelle che venivano da più lontano, perché anche di quelle un buon pastore deve prendersi cura.

Mi vengono in mente poi quei momenti in cui sembrava ritornare ragazzino: ho ripercorso stamattina delle fotografie di alcuni anni fa che lo ritraggono a cavallo di un toro meccanico oppure travestito da indiano. Quando i ragazzi lo coinvolgevano in qualche scherzo o gioco, era sempre pronto a partecipare, mostrando un entusiasmo insospettabile.

L’ultima immagine che ho stampata nella mente è quella di don Giuseppe durante la messa a cui abbiamo partecipato, presso villa Sant’Ilario, in occasione del suo ultimo compleanno: nonostante la fatica, durante il momento della preghiera eucaristica, la sua mano si è alzata, come sostenuta da una forza invisibile, e il suo volto e tutto il suo corpo erano un concentrato di fede e di amore. Quell’immagine lì, tenera e potente, rimarrà indelebile.

Se il buon pastore è la porta per le pecore, perché trovino il pascolo, allora don Giuseppe è stato per noi quella porta. Tante persone della nostra comunità sono passate per quella porta attraverso di lui. E abbiamo la certezza che, ritornato presso la casa del Padre, continuerà ad intercedere per la nostra comunità e per tutte le altre comunità che ha incontrato durante il suo ministero.
Grati per avere avuto il privilegio di averlo come pastore, affidiamo don Giuseppe al Signore, perché lo accolga tra le sue braccia e lo consoli con la sua misericordia.

Chiesa di Langhirano, 30 dicembre 2017