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Profili di preti: don Sergio Bellini

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON SERGIO BELLINI
4 gennaio 1931 - 2 settembre 2013

DonSergioBelliniPrete-pastore buono e amico di tutti. Dava la certezza di essere entusiasta del suo essere prete ed era contento di poter raccontare le sue iniziative e attività pastorali.

- Nato a Fontevivo il 4 gennaio 1931
- Ordinazione sacerdotale il 24 giugno 1956
- Coadiutore a Medesano dal 1956 al 1958
- Coadiutore a Fornovo nel 1958
- Parroco a Casola di Terenzo dal 1958 al 1970
- Parroco a Corniglio dal 1970 al 1984
- Parroco di Baganzola dal 1984 al 1998
- Cappellano a Misurina nel 1999
- Parroco di Madregolo dal 1999
- Amministratore parrocchiale e poi parroco di Lemignano dal 2002
- Deceduto in Ospedale Maggiore il 2 settembre 2013

Don Sergio Bellini era nato a Fontevivo, ma si può considerare un calestanese a tutti gli effetti: quando era ancora piccolo, la famiglia si era trasferita a Calestano, dove la mamma Emma faceva la levatrice comunale e il papà Celestino faceva servizio pubblico con la sua auto.
Abbiamo frequentato le scuole elementari insieme e siamo entrati insieme in Seminario Minore lo stesso giorno: 5 ottobre 1941. Una vita lunga la nostra, quasi in simbiosi, anche se in luoghi diversi, ma sempre nello stesso luogo dal punto di vista amicale. Tra l’altro ho un ricordo di un gesto che esprime il suo affetto verso di me: quando era parroco a Corniglio ed era deceduta la sua mamma Emma, ha voluto che fossi io a celebrare il funerale.
Don Guido Albertelli sapeva di questa nostra amicizia e penso di essere stato tra i primi, nelle ore antelucane del 2 settembre, a ricevere da lui la notizia della morte di don Sergio, che mi ha colpito al cuore, dolorosamente stupito anche per il modo così repentino della sua morte.
Ringrazio e ammiro don Guido Albertelli, che ha avuto don Sergio per alcuni anni  come suo ospite in canonica a Collecchio. Lo conosceva bene e gli era molto amico. Trascrivo qui la sua bella e commossa rievocazione al funerale.

RICORDANDO DON SERGIO al termine delle esequie nella Chiesa di Madregolo
Sentinella, pastore, presbitero

1. “Figlio dell’uomo, ti ho posto per sentinella alla casa di Israele” (Ez.3,16). Con queste parole del profeta Ezechiele inizia la lettura che viene proposta oggi in occasione della memoria del santo Papa Gregorio Magno e che don Sergio avrebbe meditato nella sua preghiera del mattino.
Sentinella è chiamato da Dio colui che Egli manda a predicare la Sua parola, a pascere il suo gregge. Sentinella è la prima immagine che mi viene ricordando don Sergio!
Cosa è chiesto a una sentinella? Di essere attenta, di vigilare, di saper scorgere da lontano qualunque cosa stia per accadere. “Chiunque è posto come sentinella del popolo deve stare in alto con la sua vita, per poter giovare con la sua preveggenza”.
Don Sergio sentiva profondamente la grave responsabilità di questa chiamata e tante volte si è chiesto: sarò ancora capace di essere sentinella come vuole il Signore? Gli anni andavano avanti, le forze diminuivano, le difficoltà per tanti versi aumentavano: vedeva crescere le sue lentezze e le sue negligenze. Quanta umiltà e quanto amore sentivo nelle sue parole: sarò ancora in grado di essere sentinella?
Poi pensando all’incoraggiamento del Vescovo, all’aiuto dei confratelli, all’amore delle sue comunità e dei suoi parrocchiani che sentiva vicini e tanto legati a lui, diceva: “Andiamo avanti, fin che il Signore vuole!”.

2. Nel suo studio, sul tavolo, un foglietto scritto  a mano  a mano per il prossimo numero del giornalino “Voce Amica” e due foto del grest di agosto. “Un’esperienza bellissima, con tanti ragazzi animati da catechisti e genitori…” leggo interpretando la sua scrittura. Quanto ci teneva ai suoi ragazzi, ai catechisti, al “piccolo coro”, al suo Oratorio! Vi voleva bene e gli dispiaceva non riuscire a fare di più e meglio… e si sentiva voluto bene da voi. Quante volte, nei nostri dialoghi durante il pranzo o la cena, mi sgridava perché non seguivo abbastanza l’oratorio, non dedicavo tempo e energie sufficienti… Era davvero un suo pensiero costante e una sofferenza vedere la sempre minore presenza di preti in mezzo ai ragazzi e ai giovani. Era un pastore che ha saputo camminare con la sua gente, senza dimenticare nessuno: le famiglie, gli anziani, gli ammalati. Con benevolenza parlava alle persone, in modo a volte anche confidenziale, mettendo a proprio agio chi lo ascoltava. Soprattutto chi si accostava a lui per il Sacramento del Perdono ne usciva pacificato.

3. È stato un prete, don Sergio, che ha vissuto nel pieno della sua maturità l’esperienza del Concilio Vat.II, pur essendo cresciuto, in Seminario, con un’educazione pre-conciliare. Ma ha saputo lasciarsi guidare dallo Spirito, rimanere docile alla sua azione e ai suoi doni.
Nella fedeltà alla preghiera liturgica e personale, nell’amore all’Eucaristia, nella devozione filiale a Maria don Sergio ha trovato alimento e forza per vivere con fortezza la sua vocazione, la gioia di vivere il ministero sacerdotale anche in tempi nuovi e di fronte a tante sfide difficili.
La perseveranza del parroco assomiglia alla pazienza dell’agricoltore che semina e aspetta i tempi della fioritura, della fruttificazione. Questa perseveranza non è stata, per don Sergio, uno stringere i denti, ma un dono che gli ha dato gioia e pace interiore. Un dono che ha saputo vivere e condividere con i suoi confratelli preti. Voleva loro bene, pregava per loro, si sentiva a loro legato (a tutti!) da una profonda carità presbiterale. Il Concilio ha parlato tanto del presbiterio: don Sergio, in modo semplice e genuino, ha vissuto profondamente il cammino del nostro presbiterio e cercava, pur con fatica, di entrare nella prospettiva della Nuova Parrocchia.

Sentinella vigilante, pastore dal cuore grande, costruttore di comunione tra i confratelli. È una ricca eredità quella che don Sergio ci lascia.

Don Guido Brizzi-Albertelli

(tratto da “Vescovi, preti, suore e amici”, di don Domenico Magri - Likecube - 2014)


Profili di preti: mons. Argo Cavazzini

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

MONS. ARGO CAVAZZINI
24 maggio 1920 - 23 agosto 2006

MonsArgoCavazziniMa chi era mai questo don Argo? Per saperne qualcosa bisogna leggere intanto il curriculum qui sotto. Ma non basta: bisogna averlo conosciuto e frequentato. In lui c’era una convergenza armoniosa di fede, di signorilità del tratto, di fedeltà scrupolosa alla Chiesa e agli incarichi ricevuti e di preveggenza con i giovani, che lui ha riunito e seguito fondando il Cenacolo. Insomma: don Argo ci voleva proprio per la Chiesa di Parma!

- Nato a Malandriano il 24 maggio 1920
- Ordinato sacerdote il 19 marzo 1943
- Vicario Cooperatore in S. Sepolcro dal 1943 al 1944
- Economo Spirituale di S. Sepolcro dal 1944 al 1945
- Vice rettore del Seminario Maggiore dal 1945 al 1947
- Vice cancelliere Curia Vescovile dal 1947 al 1968
- Canonico della Basilica Cattedrale nel 1953
- Vice Assistente dioc. G.I.A.C. dal 1945 al 1947
- Assistente diocesano G.I.A.C. dal 1947 al 1967
- Insegnante in Seminario su Apostolato dei Laici dal 1947 al 1970
- Insegnante di Religione nell’Istituto Tecnico Industriale dal 1946 al 1949
- Insegnante di Religione nel Liceo Scientifico “Marconi” dal 1949 al 1954
- Vice delegato Vescovile dell’Azione Cattolica dal 1951 al 1967
- Canonico Penitenziere della Basilica Cattedrale dal 1953 al 1978
- Insegnante di Dottrina Sociale Cristiana in Seminario, dal 1956 al 1970
- Fondatore e responsabile del Cenacolo per la formazione cristiana dei giovani
- Cancelliere vescovile dal 1968 al 1997
- Nominato Protonotario Apostolico il 21 novembre 1997
- Deceduto a Villa S. Ilario il 23 agosto 2006.

Mons. Cavazzini ha avuto il “torto” di morire in età avanzata e di essere rimasto “nascosto” una decina d’anni in Villa S. Ilario. E così qualcuno forse se lo è dimenticato prima del tempo. Peccato! Ma lui in questi anni di nascondimento ha continuato ad essere presente ogni giorno alla Diocesi con la sua fede cristallina, con il suo interessamento appassionato alle vicende diocesane e con la sua sofferenza veramente dura e pesante, che ha saputo affrontare con una dignità straordinaria e offrire al Signore per tutti noi.

Mons. Cavazzini è stato insegnante di religione nelle scuole e apprezzato insegnante nel Seminario Maggiore cui era legatissimo: vi ha abitato per decine di anni, fino a quando è stato accolto in Villa S. Ilario. Ma soprattutto deve essere ricordato con riconoscenza come Cancelliere vescovile, come formatore di giovani e come Canonico della Cattedrale.
Ogni prete di Parma, nessuno escluso, ha avuto bisogno di mons. Cavazzini in Curia. E ha trovato sempre in lui un “gran signore”, un Cancelliere attento, discreto, puntuale nelle risposte e nelle richieste di chiarimento, fedele alle norme e alle indicazioni della Chiesa e dei Vescovi che si sono avvicendati a Parma e che lui ha servito con una dedizione assoluta. E tanto gentile, fine e delicato, anche quando non poteva dire di sì. Che cosa potevamo pretendere di più? Il suo è stato un compito per certi versi poco appariscente, ma preziosissimo per il buon funzionamento della Curia, con un occhio e con un cuore sempre attento alla dimensione pastorale dei problemi.

È stato Assistente dell’Azione Cattolica e ha fondato il Cenacolo, che era un folto gruppo di giovani, che lui ha formato in maniera solida e profonda, per preparali alle responsabilità del loro futuro nella vocazione religiosa, nella famiglia, nel mondo del sociale, della cultura e della politica. Con il Cenacolo mons. Cavazzini ha dato un grande contributo al ruolo specifico della Chiesa di Parma nei problemi della società. Era bello e commovente in questi anni assistere agli appuntamenti di questi ex-giovani, che si trovavano ogni tanto tutti insieme in Villa S. Ilario per recitare in cappella il Rosario con lui, intrattenerlo con il loro affetto riconoscente e per ricevere ancora una volta le sue direttive di vita cristiana, espresse con la sua voce ormai fioca, ma con i concetti sempre chiari.

E non bisogna sottovalutare la sua lunga esperienza di Canonico, con la presenza, non certo di facciata, in Cattedrale: sempre preciso nella partecipazione alla preghiera corale, esemplare nelle celebrazioni liturgiche e assiduo al ministero sacramentale della Riconciliazione.

Quando la sua bara è entrata in Cattedrale per le esequie al suono solenne e grave del bajòn, abbiamo avuto la sensazione che mons. Cavazzini si sia finalmente riappropriato, almeno per un’ora, della chiesa-madre, che era stata per tanti anni il suo “rifugio” preferito, secondo la parola del salmo 27: “Una sola cosa chiedo al Signore e questa desidero: abitare nella Casa del Signore tutti i giorni della mia vita”.

Nei suoi ultimi anni che io ho vissuto con lui a Villa S. Ilario, un particolare mi ha sempre fatto impressione: il canto nella sofferenza! La sua sofferenza era grande, ma alla Messa in cappella non rinunciava mai a cantare: forse il canto, come farmaco ed affermazione di fede, lo aiutava ad esorcizzare la sofferenza che lo tormentava. E quando dopo la Messa toccava a me spingere la sua carrozzina verso la sala di soggiorno e mi mettevo istintivamente ancora a cantare sottovoce il canto finale della Messa appena conclusa, lui cantava con me. Di solito era un canto alla Madonna.

Dopo le esequie in Cattedrale ho accompagnato la sua bara al Cimitero della Villetta, assieme all’amico mons. Sergio Sacchi. Ho fatto una esperienza interiore singolare, che mi ha rimescolato dentro tanti ricordi … di gioventù. Una volta tolto il coperchio dell’Arco dei Canonici sono comparse le altre bare sistemate nei ripiani. E allora sulle bare sono comparsi i nomi di tanti Canonici, che sono stati anche nostri insegnanti in Seminario e che hanno riempito con la loro presenza i solenni Pontificali dei tempi di mons. Colli. Con l’arrivo alla Villetta di mons. Argo Cavazzini si è aggiunto un altro confratello a questa “compagnia” così cara alla nostra memoria e al nostro cuore. Non per nulla, vicino all’ Arco dei Canonici, c’è l’Arco dei Vescovi e lì ci sono le spoglie mortali del Vescovo mons. Colli, il grande Celebrante.
Qui ci vorrebbe il nostro poeta Pezzani per immaginare un bel dialogo fra il Vescovo e questi sacerdoti, come lui ha saputo immaginare, nella nota poesia ambientata alla Villetta, il dialogo struggente tra padre Lino e i personaggi della sua vita di frate randagio per la povera gente.

Mons. Cavazzini è ora accanto al Vescovo che lo ha consacrato sacerdote e ai Canonici, e non solamente con il suo corpo mortale, perché è destinato a unirsi con loro alla liturgia celeste per cantare il suo amore al Signore a voce spiegata (finalmente!) e senza più le sofferenze della malattia.
“Hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste in abito di gioia, perché io possa cantare senza posa. Signore, mio Dio, ti loderò per sempre” (dal salmo 29).

(tratto da “I miei preti..... I nostri preti”, di don Domenico Magri - Grafica Langhiranese - 2008)


Profili di preti: mons. Giacomo Antolini

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

MONS. GIACOMO ANTOLINI
10 ottobre 1915 - 28 agosto 1983

MonsGiacomoAntoliniÈ stato un prezioso sacerdote che, se è lecito dirlo, ha lavorato “sotto traccia” nel tessuto vivo della Diocesi per avere avuto prima la fiducia piena del vescovo Colli e poi del vescovo Pasini di cui era fidato e stretto consigliere.
È stato tra gli ideatori della Fraternità sacerdotale, chiamata “Brigata nera” con un po’ di benevolo sarcasmo, ma che ha svolto un prezioso ruolo nella formazione dei presbiteri, quando la Diocesi non era ancora attrezzata per questo a sufficienza. Ha profuso tante delle sue energie alla Azione Cattolica.
Saggio, intelligente, ricco di fede, cordiale e dal tratto gentile con tutti, ha avuto forse un “tramonto” un po’ melanconico, concluso con la morte improvvisa. Non va dimenticato. A don Giacomo è stata giustamente intitolata una sala del Vescovado.

- nato a Lozzola di Berceto il 10 ottobre 1915
- ordinato sacerdote l'8 aprile 1939 dal Vescovo mons. Colli
- Assistente Diocesano della Gioventù Femminile A.C. dal 1944 al 1967
- Parroco a Vallerano dal 1939 al 1940
- Parroco a Medesano dal 1940 al 1943
- Parroco ad Ognissanti dal 1943 al 1958
- Parroco a S. Pietro dal 1958 alla morte
- Delegato Vescovile Apostolato dei laici dal 1967 al 1980
- Vicario Episcopale nel 1972
- Prelato d'Onore di Sua Santità nel 1974
- Rinnovo dell'incarico di Vicario episcopale dal 1976 al 1980
- Assistente del Mov. Eccl. Impegno Culturale (MEIC) dal 1980
- Vicario Episcopale dal 1980
- deceduto improvvisamente il 28 agosto 1983.

Il titolo di "monsignore" non gli si è mai incollato addosso: per tutti è sempre rimasto "don Giacomo o don Antolini".
Veniva da Lozzola di Berceto e da quello che so non ha reso felice la sua famiglia quando, ormai studente avanti nella scuola, aveva deciso di entrare in Seminario. Bisogna ammettere che la sua vocazione sacerdotale è stato un grande "acquisto" per la Chiesa di Parma: un prete che ha riempito beneficamente con la sua personalità e la sua saggezza alcuni decenni della vita della Diocesi.

Era partito in sordina, subito dopo l'ordinazione sacerdotale, come parroco di Vallerano, piccola frazione di Calestano alle falde del monte Sporno. Me lo ricordo, io ragazzo chierichetto, questo bel pretino giovane, che arrivava a Calestano in bicicletta per aiutare l'arciprete don Miani. Poi è scomparso dal mio radar di ragazzo e non sapevo dove era andato a finire. Poi l'ho saputo, perchè ha segnato anche la mia vita.

Dopo la permanenza di un solo anno a Vallerano, nel 1940 don Giacomo era andato parroco a Medesano e subito aveva fatto capire chi era e quanto valeva, per cui è stato sbalzato presto in città, come parroco di Ognissanti, la parrocchia allora più popolosa della Diocesi. È arrivato a Ognissanti nel novembre 1943, in un momento drammatico, non solo perchè c'era la guerra nella sua fase ormai acuta, ma perchè era stato mandato a sostituire don Licinio Delmonte, messo in prigione dopo l'8 settembre con il ritorno al potere del regime fascista. Motivo? Il precedente 25 luglio don Licinio, irriducibile antifascista, aveva suonato le campane a festa per la caduta di Mussolini.

Arrivato a Ognissanti don Giacomo non solo ha messo tutto il suo impegno pastorale nella parrocchia, ma ha cominciato a inserirsi nell'Azione Cattolica diocesana su richiesta del Vescovo mons. Colli che ne aveva intuito le eccellenti potenzialità.

È stato anche uno dei fondatori della Fraternità sacerdotale, una associazione nata per il mutuo aiuto formativo fra i sacerdoti, che facevano voto di obbedienza al Vescovo. La Fraternità sacerdotale è stata vista in maniera critica da una parte del clero di allora e gratificata con il titolo, non certo elegante, di "Brigata Nera". Bisogna però riconoscerle il merito di aver svolto, tra l'altro, una azione di supplenza per l'aggiornamento culturale e spirituale dei sacerdoti, quando la Diocesi non era ancora attrezzata per la formazione permanente del clero.

Nel 1958 don Giacomo, sempre più preso dagli impegni diocesani e forse perchè non si sentiva tagliato per la costruenda chiesa di S. Maria del Rosario in programma ad Ognissanti, è passato alla parrocchia di S. Pietro in piazza Garibaldi. Allora sia don Giacomo che il Vescovo mons. Colli, hanno pensato a me, cappellano a Fornovo, come successore a Ognissanti, nonostante che io avessi la "tenera" età di 26 anni.
E qui si inserisce un "siparietto" interessante che, a distanza di anni, si può anche raccontare.

Il Vescovo mons. Colli ha inviato don Giacomo dall'arciprete don Giuseppe Malpeli per chiedergli precise informazioni su di me. Don Malpeli, che mi voleva e mi vuole molto bene, ha risposto più meno così: "Don Domenico è bravo in tutto, ma ha un grosso difetto: non ha le doti per essere un buon amministratore perchè non sa essere un buon economo con i suoi soldi personali". Questa risposta di don Malpeli ha preoccupato (dovevo costruire una chiesa nuova), ma non ha bloccato la mia nomina, dopo che don Giacomo mi aveva giustamente messo in guardia su questo mio difetto (vero o presunto!).

Don Giacomo è stato per me un ottimo predecessore, perchè mi ha consegnato una parrocchia vitale con tante persone di ogni età formate dalla sua saggezza spirituale, con l'Azione Cattolica fiorente e con una attiva Conferenza S. Vincenzo. Ed è sempre stato con me prodigo di buoni consigli: infatti, soprattutto nei primi anni, giovane e inesperto come ero, andavo spesso a chiederli.

Anche con il Vescovo Mons. Pasini, di cui era consigliere ascolato, è stato fra i protagonisti della vita diocesana. È stato Vicario episcopale per diversi anni.
È morto improvvisamente a 68 anni, nel 1983, rimpianto da tanti preti e da tanti amici del laicato cattolico.
È stato un grande "benefattore" della Chiesa di Parma: non dimentichiamolo!

(tratto da “I miei preti..... I nostri preti”, di don Domenico Magri - Grafica Langhiranese - 2008)


Profili di preti: don Italo Dall'Aglio

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON ITALO DALL'AGLIO
12 marzo 1907 - 14 agosto 1973

Don Italo è stato un sacerdote dal temperamento particolare. Era un tipo sanguigno e focoso che lo penalizzava alquanto nel suo ministero, ma non gli impediva di svolgere la sua missione pastorale con impegno e buoni frutti. Io l’ho conosciuto nel periodo che era parroco a Ravarano, il paese delle mie origini e caro a me quanto Calestano.
Sento in particolare il bisogno e il dovere di rievocarlo anche per quello che ha lasciato scritto, non solo su Ravarano ma anche sulla Diocesi, con opere di storia locale, ancora utili da consultare.

- nato a Felegara (Medesano) PR il 12/3/1907
- ordinato a Parma da Mons. E. Colli il 29/6/1933.
- Commendatore dell’Ordine del S. Salvatore di S. Brigida di Svezia.
- Socio della Deputazione di Storia Patria.
- Dal 1/9/1933 al 1/7/1934 Coadiutore a S. Sepolcro;
- dal 1/7/1934 al 6/10/1956 Parroco a Ravarano;
- Dal 6/10/1956 Parroco a Marore.
- Deceduto improvvisamente il 14/8/1973.

Fra le sue pubblicazioni desidero fissare l’attenzione in particolare su “La Diocesi di Parma: appunti di storia civile e religiosa sulle 311 parrocchie della Diocesi.” (Scuola tipografica benedettina, Parma, 1966 - Primo e secondo volume)

Questi due volumi dovrebbero essere consultabili in Curia e in ogni parrocchia. Io li consulto frequentemente quando voglio sapere qualcosa della storia dei paesi, delle parrocchie e delle successioni dei parroci fin dal ‘500. Qualcuno ha snobbato questa opera dicendo che don Dall’Aglio l’ha messa insieme copiando qua e là. Certo, ma lo ha fatto come fanno gli studiosi seri, mettendo insieme i dati raccolti alle fonti, che lui ha sempre citato scrupolosamente. In questi due volumi troviamo una miniera inesauribile di dati storici per ogni parrocchia, frutto della sua passione e della sua ostinata ricerca delle fonti.

Fra le altre opere da lui date alle stampe mi piace citare “Ravarano paese appennino - Monografia storica del castello e della sua Chiesa" (Scuola Tipografica Benedettina, Parma 1954)      

Ravarano ha preso l’appellativo di “paese appennino” perché questo aggettivo è contenuto in una dolente e ingenua ma toccante poesia per una tragedia del Natale 1921 avvenuta con la morte di quattro ragazzi sulla nostra montagna alle falde del M. Cervellino. Ecco come don Dall’Aglio l’ha raccontata nel suo libro.

La tragedia dei 4 ragazzi nel Natale del 1921 sopra Fugazzolo, in località “La Vecchia”

“Il nome del paese di Ravarano fu conosciuto da una canzone (inttolata "Ravarano, paese appennino" - ndr)* cantata su tutte le piazze d'Italia e composta in occasione del rinvenimento delle salme di tre ragazzi e di una giovinetta rimasti sepolti sotto la neve mentre si recavano, nella ricorrenza del Natale dell'anno 1921, da Ravarano alle loro famiglie di Graiana nel Cornigliese. I tre fratelli erano: Pasini Angelo di anni 14, Antonio di 12 ed Elvira di 18, ed il cugino Briselli Guido di 12 anni. Morirono assiderati la notte del 24 dicembre 1921 in località "La Vecchia" sopra i monti di Fugazzolo presso Berceto. Le salme furono scoperte il 13 gennaio 1922: i giovani erano abbracciati, accovacciati sotto un ombrello, proprio sotto un grosso albero ricurvo in uno spondale impervio sovrastante due canaloni. Vennero poi sepolti nel cimitero di Fugazzolo il 14 gennaio.”

* Ravarano, paese appennino

Presso Berceto una grave sciagura
che ha destato un mesta impression;
furon colpiti da tanta sventura
quattro vittime che fan compassion.

Tre ragazzi ed una giovinetta
per le feste del santo Natal
per raggiungere la famiglia diletta
non pensarono al caso fatal.
Da Ravarano, paese appennino,
quei ragazzi lor voller partir;
a mezzogiorno son pronti in cammino
ed un parente li voller avvertir

che la strada era pericolosa
ed il tempo minacciava ancor,
i sentieri e la valle nevosa,
li pregava a restare con lor.

Ma quei ragazzi a nulla dan retta
ed in viaggio si mettono allor
per raggiungere la casa diletta
chè il Natale avevano in cor.

A Fugazzolo ancor li han fermati
e ancora più avanti di lì,
ma il destino li ha condannati
ad andare avanti, ad andare a morir.

La bufera li ha sopraffatti,
scoraggiati si fermano lì
sotto un albero tutti quattro abbracciati,
sotto un ombrello la loro sorte aspettar.

Minacciosa la neve saliva
su quei miseri senza pietà,
in poco tempo così li copriva
finchè la morte colpiti li ha.
-
Da venti giorni nessun sospettava
tal disgrazia venisse a colpir;
nelle ricerche così si trovavan
le quatro vittime a tanto soffrir.

Eran là tutti quattro abbracciati
in uno stato da far compassion;
or pensando a chi li ha generati,
c'è da morir o impazzir di passion.


Scorrendo l’elenco di tutti i suoi libri mi viene da chiedermi come don Dall’Aglio sia riuscito a scrivere così tanto, pur non mancando mai ai suoi doveri di parroco. Certamente questo esempio, che non è l’unico, serve a riconsiderare il livello culturale di tanti nostri preti di un tempo. Senza aver avuto modo di studiare all’università, che allora era una chimera, ci hanno lasciato, con la loro passione, sensibilità e tenacia, una preziosa eredità di vicende storiche e di valori culturali e non solo, che non dovrebbero andare perduti, come non dovrebbe svanire il ricordo riconoscente di questi nostri confratelli. 
Fa impressione leggere in Curia le schede manoscritte dei curricula dei vecchi preti: di solito risultano avere solo la licenza di quinta elementare come titolo scolastico. Eppure sono stati preti culturalmente eccellenti, cui magari sono stati affidati incarichi di grande responsabilità diocesana.

Io ho conosciuto abbastanza bene don Dall’Aglio mentre era ancora parroco a Ravarano, poi il rapporto si è inevitabilmente diradato. Ma non ho dimenticato le sue caratteristiche e lo penso con simpatia e riconoscenza ogni volta che mi appresto a consultare il suo doppio volume-capolavoro sulla Diocesi, che è sempre in bella vista nella mia libreria.
Mi pare lecito concludere e completare la presentazione di don Dall’Aglio, ricordando una certa amarezza che lui ha provato, e che non nascondeva a nessuno, per non aver avuto dalla Diocesi un riconoscimento che lui pensava di meritare.
È morto improvvisamente come parroco di Marore il 14 agosto 1973.
Spero di essere almeno riuscito a fare riemergere nella nostra memoria il ricordo di questo sacerdote che ha lasciato con i suoi libri tante notizie storiche e locali con l’esempio della sua fede di sacerdote e di parroco.

(Don Domenico Magri, 26 giugno 2017)


Profili di preti: don Camillo Giori

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DonCamilloGioriDON CAMILLO GIORI
23 febbraio 1922 - 16 agosto 2011

Don Camillo è stato per la nostra Diocesi un dono meraviglioso con il suo esempio di prete insegnante all’Università e un dono con il suo sacerdozio che ha vissuto nella disponibilità totale alle richieste del Vescovo. Una volta andato in pensione come insegnante ha “inventato” la missione di parroco prima a Felegara e poi a Ramiola. Ha trascorso gli ultimi giorni della sua vita a Villa Sant’Ilario, stimato e amato da tutti.

Dire don Camillo Giori significa dire alcune cose importanti che lui ci ha lasciato in eredità e che non vanno disperse. Intanto bisogna premettere che don Camillo è stato un grande dono della Diocesi di Milano alla nostra Diocesi di Parma, dal momento che si è stabilito a Parma per insegnare fisica all'università, e con onore, per la sua professionalità e competenza scientifica riconosciuta da tutti.

Già, ha fatto l'insegnante universitario. E che c'entra con la missione sacerdotale? Domanda impropria. Un prete è sempre prete anche quando non dice Messa, perché la Messa del prete non si riduce alla mezz'ora della celebrazione, ma continua nella misura in cui c'è la capacità di celebrarla anche "fuori orario", fuori dalla rubriche liturgiche e in ogni situazione, cioè sempre. E così è stato per don Camillo.

Ma noi tutti sappiamo che lui ha fatto il prete nel senso stretto del termine: questo sacerdote ambrosiano è venuto qui da noi con una straordinaria potenzialità pastorale. E così si è subito prestato a soddisfare tante richieste in questo senso. In particolare per tanti anni ha fatto praticamente da cappellano a don Sergio Sacchi nella parrocchia di S. Maria del Rosario.
E una volta in pensione come insegnante, nonostante l'età avanzata e con l'entusiasmo di un giovanotto, ha trascorso alcuni anni a reggere la parrocchia di Felegara e poi è stato parroco per dieci anni a Ramiola, dove è stato amato e quasi venerato per le sue doti di fede, di saggezza pastorale e di umanità.

Io personalmente ho avuto la conferma delle sue doti nell'ultimo anno della sua vita trascorso a Villa Sant’Ilario, rifugio caldo e protettivo dei sacerdoti anziani e ammalati: ha dimostrato di essere un gran signore nello spirito e di avere una grande fede, che si intravedeva anche nel suo modo di pregare. A mensa io lo avevo proprio davanti a me: aveva il sorriso facile, un sorriso che illuminava il suo volto e che regalava spesso a tutti, nonostante le nebbie che ormai avevano invaso la sua mente, una volta così lucida.

Voglio ricordare infine un episodio che risale al suo primo periodo di parroco a Ramiola. Il vescovo mons. Bonicelli mi aveva chiesto di fargli visita in parrocchia, dove era seguito con ammirevole attenzione dalla cugina Maria. Quel giorno, al mio apparire in canonica mi ha gettato le braccia al collo, piangendo di gioia e di riconoscenza per questo piccolo gesto di amicizia, ispirato dal Vescovo. Qui c'è tutta la sensibilità e la dolcezza di questo grande prete e grande uomo, che ha rallegrato la vita di tanti di noi. A lui diciamo una sola parola: grazie!

(tratto da “Vescovi, preti, suore, amici”, di don Domenico Magri - Grafica Likecube - 2012)