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Profili di preti: don Celso Pelosi

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON CELSO PELOSI
12 ottobre 1932 – 23 settembre 1976

DonCelsoPelosi

Per dire chi era don Celso a chi non l’ha mai conosciuto può bastare una confidenza che mi ha fatto il vescovo Pasini quando doveva scegliere il suo Vicario generale. Come sappiamo ha scelto mons. Grisenti, ma aveva in testa anche la scelta di don Celso. Le due lettere che mi ha inviato sono molto significative di don Celso che sognava una vita sacerdotale da vivere alla grande, con la cultura al servizio della pastorale illuminata dallo Spirito. Queste due lettere sono pure un esempio di amicizia sacerdotale. Sì, perchè eravamo molto amici, con una amicizia che legava insieme allora tanti preti giovani. Anche il suo paese di nascita con la sua chiesa di battesimo, Tordenaso, di cui sono stato parroco per alcuni anni quando ero a Langhirano, mi ha aiutato a tenere sempre nel cuore questo caro e prezioso amico.


- nato a Tordenaso di Langhirano il 12 ottobre 1932
- ordinato presibitero il 19 giugno 1955
- cappellano a Medesanodal 1955 al 1956.
- parroco a Sanguigna dal 1956 al 1962
- parroco a S. Croce in Città dal 1962 al 1972
- laurea in teologia nel 1967
- insegnante in Seminario Maggiore dal 1963 al 1970
- responsabile diocesano della Catechesi dal 1973
- consulente dei Medici Cattolici dal 1973
- deceduto a Roma il 23 settembre 1976 in seguito a incidente stradale


Don Celso è stato un astro che ha illuminato solo per breve tempo la nostra Diocesi: intelligenza acuta, appassionato studioso, pastore zelante, aperto alle nuove idee conciliari. È morto il 23 settembre 1976, all’età di soli 44 anni, per un tragico incidente stradale a Roma, dove si era recato per preparare la tesi della sua seconda laurea a Parigi. La sua scomparsa è stata una grave perdita per la Chiesa di Parma.

Don Celso era dotato di forte personalità: sul piano culturale era una “punta di diamante” e sul piano pastorale è stato un pioniere del Concilio in Diocesi e nella sua parrocchia. Don Celso era stato parroco di Santa Croce, mentre io ero parroco di Ognissanti-S.Maria del Rosario. La vicinanza geografica e di ideali aveva contribuito a rendere più profonda la nostra amicizia. Assieme a don Franco Guiduzzi, allora parroco di S. Maria della Pace e lungimirante pioniere di rinnovata pastorale, eravamo sempre in stretto contatto e frequente consultazione.

 


Due lettere scritte a don Domenico da don Celso da Parigi, dove soggiornava per frequentare l’università.

Parigi, 19 settembre 1972
Carissimo Domenico, squilla il telefono: sono io! Come va? Bene! Mi faccio vivo per dirti le mie impressioni, per assicurarti che sono veramente contento della decisione che ho preso e della esperienza che sto facendo. Mi sono ambientato presto sia qui in Rue de Regard come all’Istituto.
La vita è abbastanza monotona, se si tratta di prospettve ambientali o locali, ma è enormenente ricca, se vuoi, per i contenuti che offre: l’unico inconveniente è che manca il tempo per approfondire questo ben di Dio! Mentre studio ripenso gli anni trascorsi e nello stesso tempo mi si chiariscono le idee, credo, per il tempo che verrà, semprechè si viva, ben inteso! Si muore di lunedì, di martedì, di mercoledì... te la ricordi la filastrocca? Bene, a parte gli scherzi, spero proprio che questi mesi corrispondano a quello che avevo sperato.

Le esperienze pastorali che vedo qui sono interessanti, condotte con serietà e, mi pare, in un clima di maggiore serenità di quanto non sia da noi: questa, almeno, la mia impressione, girocolando per le parrocchie di Parigi.
E tu? I tuoi “scagnozzi”.... voglio dire i tuoi collaboratori? (si dice ancora così o hanno trovato un altro nome: mi raccomando non mangiarmi quel poco credito che ancora avessi: da’ loro quel titolo che loro compete e di’ loro che l’ho usato io!?). Salutami tutti a cominciare dal caro Gigione*. Salutami pure gli amici comuni. Non don Dagnino cui ho scritto proprio oggi: non deve fare indigestione. Salutoni. Cordialmente
Don Celso

*Gigione è il termine affettuoso e confidenziale che don Celso usa per indicare l’amico don Luigi Maggiali.



Parigi, 7 marzo 1973
Caro Domenico, ho ricevuto le Ceneri! Procurerò di fare penitenza, anche per non aumentare (!?). Non mi è difficile ricordarmi di te e di tanti amici in mezzo alle problematiche in cui mi trovo dal giorno in cui è cominciato il secondo semestre. Ho incontrato Chenu: mi ha fatto festa! È forse una delle poche volte che a Parigi ha uno studente italiano.
Conosce bene la nostra storia italiana, la nostra lingua....  ed è molto interessato al mio tema; mi ha ripetutamente detto che mi vorrà dare una mano con infornazioni di prima mano...
Continuo anche il mio girocolare domenicale e continuo a verificare e scoprire cose interessanti, che dicono quante possibilità ci sono quando si dà corso all’energia che lo Spirito semina nelle comunità, come e quando vuole! Se sapessimo trovare degli schemi tanto elastici da consentire allo Spirito di essere meno marginale. Non è con tono di polemica o di rimpianto.... è, per quanto mi riguarderà, un programma a cui non vorrei mai venire meno, sia in mezzo a quattro che a mille gatti. E tu? Stai benedicendo? E il resto? Ti penso sempre in gamba, un vulcano sordo ma produttivo. Ciao e mille salutoni a tutti i comuni amici.

Don Celso

(tratto da “I miei preti..... I nostri preti”, di don Domenico Magri - Grafica Langhiranese - 2008)


Profili di preti: don Dino Bocchi

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON DINO BOCCHI
1 aprile 1928 – 23 settembre 1998

DonDinoBocchi

Don Dino è stato un sacerdote zelante e pieno di fede, ma nel fare il prete ha conservato integra la sua umanità con un temperamento sanguigno, che era croce e delizia di chi lo accostava. Aveva le sue idee e non era capace di nasconderle, perché era troppo sincero con se stesso e con gli altri. Alla fine risultava simpatico a tutti ed è passato in Diocesi come un prete fra i più popolari. Comunque bisogna ammettere che ha fatto il prete “terribilmente” e meravigliosamente sul serio!

- Nato a S.Quirico di Trecasali il 1 aprile 1928
- Ordinazione presbiterale: 19 giugno 1955
- Parroco a Carobbio: 1955 – 1967
- Parroco a Palasone: 1967 – 1974
- Parroco a Torrile: 1974 – 1990
- Amministratore parr. a Coltaro e Torricella: 1987 -1990
- Parroco a Corniglio: dal 1990 fino alla morte
- Amministratore parr., in date diverse a cominciare dal 1990, a: Grammatica, Graiana, Roccaferrara, Vestana, Ballone, Agna, Villula
- Deceduto all’Ospedale Maggiore di Parma il 23 settembre 1998
- Funerale nella Chiesa di Corniglio il 26 settembre 1998.


Il nostro caro don Dino ci ha colti di sorpresa con questa partenza non certamente prevista. La sua presenza riempiva e rallegrava l’Alta Val Parma e il nostro Presbiterio parmense. Ha lasciato detto che non vuole discorsi: c’era da aspettarselo, con il suo stile di vita senza fronzoli. E io non sono qui a fare un discorso, ma sto tentando di farlo rivivere brevemente, davanti a me e davanti a voi, in tutta la sua carica umana e sacerdotale. Non si può dare l’addio a una persona cara, una persona della nostra famiglia (così era per noi don Dino), senza rievocarne con amore e tenerezza le fattezze spirituali e gli aspetti più significativi della sua personalità.
E così don Dino non può impedirci di ricordarlo con simpatia, con affetto, con riconoscenza e, diciamolo pure, anche con qualche piccolo rimorso.

Emergeva tante volte la sua cordialità spontanea e istintiva che lo rendeva gradevole e brillante, ma poi talvolta sprigionava in modo incontenibile dal suo essere la franchezza del “sì sì“ o del "no no“ evangelico. Questa franchezza, non capìta, poteva dare fastidio. Non sempre abbiamo saputo andare oltre la sua scorza un po’ grezza per cogliere i tanti lati positivi della sua personalità e così abbiamo perso tante occasioni per gustare la freschezza limpida e incontaminata della vita e delle battute imprevedibili e sapide di don Dino. Viene in mente il brano del Vangelo dove i bambini “stando in piazza gridano gli uni agli altri: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato: vi abbiamo cantato un lamento e non  avete pianto”.

Il nostro don Dino è uno di quei personaggi che nella Diocesi e nel Presbiterio sarà difficile dimenticare. Avrà certamente un posto sicuro nelle nostra memoria storica, anche se lui non aveva gradi e le qualità per il successo, secondo gli schemi abusati della mentalità corrente, che funzionano così bene all’interno delle istituzioni.
Ora che è passato all’altra riva, dobbiamo riconoscere il bene ricevuto e prendere atto con ammirazione che ha consumato, senza risparmio alcuno, la sua esistenza sacerdotale per la Chiesa e per tutte le parrocchie di cui è stato parroco.
Don Dino è stato parroco di tante parrocchie, perché era un prete che aveva sempre la valigia in mano per cambiare e affrontare con nuovo entusiasmo nuove comunità parrocchiali.

Era nato e cresciuto nella Bassa parmense: gli fa onore la sua disponibilità a fare il parroco in montagna, anche in età ormai avanzata. Il modo con cui ha incontrato la morte è indicativo del suo stile di vita. Era un prete che ci credeva davvero ed è stato felice fino all’ultimo respiro di essere prete e di essere pastore: ha ricevuto con pietà esemplare i sacramenti, che, per sua esplicita ammissione, gli hanno dato tanto conforto e serenità.

Aveva concluso la sua attività pastorale a Graiana domenica scorsa con l’infarto che lo ha colpito al termine della sua gioiosa fatica di celebrante nel giorno del Signore. Ha sempre celebrato con gioia il giorno del Signore con la sua gente: con la sua auto correva da un paese all’altro come un giovanotto (e giovanotto non era più!) “saltando per i monti e balzando per le colline”, come direbbe il Cantico dei Cantici.

Appena un’ora prima di morire, ancora lucido, aveva espresso la sua preoccupazione perché le sue parrocchie non rimanessero senza Messa nella domenica successiva, cioè domani. Gli auguriamo ora, con tutto il nostro cuore di amici e di credenti che possa celebrare il giorno definitivo del Signore nella domenica senza tramonto, dove c’è la grande festa preparata dal Signore per i suoi servi fedeli. È stato infatti un ministro del Signore e un pastore saggio e buono, “qui in diebus suis placuit Deo”: nei giorni della sua vita terrena è piaciuto a Dio.  
    

(tratto da “I miei preti..... I nostri preti”, di don Domenico Magri - Grafica Langhiranese - 2008)


Profili di preti: mons. Giuseppe Malpeli

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

MONS. GIUSEPPE MALPELI
10 ottobre 1918 - 18 settembre 2011

MonsGiuseppeMalpeli

Un prete così forte e così tenero! Basterebbero poche parole per raccontare quello che non è riuscito a realizzare dei suoi sogni. Ci vorrebbe invece un libro intero per raccontare tutto quello che è riuscito a realizzare per il Regno di Dio, a cominciare dalla sua testimonianza di fede e di pastore che si è consumato per il suo gregge. Basterebbe la fondazione di Villa S. Maria, frutto della sua determinazione instancabile, per essere ricordato a lungo come promotore del grande valore della spiritualità.
Io gli devo tanto! Mi ha insegnato a fare il parroco negli anni che sono stato con lui: celebrazioni, ragazzi e giovani, catechesi, confessioni.... Fra le cose più importanti mi ha insegnato l’amore e la cura dei malati, dei morenti e dei defunti. Mi ha dato l’esempio nelle visite frequenti ai malati, nelle ore notturne presso i morenti e con il suo pianto (proprio così!) ai funerali sul feretro dei parrocchiani. Questo sì che è “odore delle pecore”!
E se noi preti, alla vana ricerca di nuove soluzioni magiche di pastorale, ci ricordassimo di più dei cosidetti “fondamentali” della pastorale di ogni tempo?  
Grande, grande don Giuseppe Malpeli, arciprete di Fornovo!

- Nato a Berceto il 10 ottobre 1918
- Ordinazione sacerdotale il 15 febbraio 1942
- Cappellano a S. Giuseppe nel 1942
- Parroco a Corniglio nel 1945
- Parroco a Fornovo nel 1954
- Presidente Gruppo promotore Esercizi spir. nel 1975
- Prelato d'Onore di SS. nel 1980
- Deceduto il 18 settembre 2011.

Sono stato suo cappellano dal 1954 al 1958. Mi ha insegnato a fare il prete e mi ha preparato a fare il parroco: non gli sarò mai abbastanza riconoscente.
Ho ricordi incancellabili che mettono in risalto la grandezza della sua personalità umana e sacerdotale.

Appena ordinato prete e arrivato a Fornovo nell'estate del 1954, in una delle prime sere mi ha chiesto di seguirlo per una camminata sulla Strada Nazionale verso Riccò. Giunti in località Casetta, mi ha invitato a guardare in su, mi ha indicato una villa disabitata e mi ha dato l'annuncio del suo progetto per una avventura che sarebbe diventata la sua grande sfida per tutti gli anni della sua vita di parroco: "È la villa di un emigrante in Argentina, adesso la prendiamo in affitto e poi la acquisteremo e ne faremo una casa per Esercizi spirituali e per convegni pastorali". Detto fatto!

Don Giuseppe era arrivato parroco a Fornovo nel gennaio 1954. Era stato ordinato nel 1942 e fino al 1945 è stato cappellano a S. Giuseppe in città, presso quel prete tutto d'un pezzo che era don Dagnino, che lo aveva forgiato a dovere.
Aveva fatto una prima esperienza di parroco a Corniglio (1945-1954) dove, tra l'altro, in tempi difficili per le condizioni di povertà del dopo guerra, era riuscito nel 1951 a costruire la "Piccola Casa Maria Assunta", ancora oggi prezioso punto di appoggio per la pastorale parrocchiale e zonale.
Io sono arrivato a Fornovo pochi mesi dopo di lui, quando ancora nei Fornovesi c'era un atteggiamento di perplessità nei suoi confronti, perchè faticavano ad accettare il suo temperamento: appariva riservato, burbero, severo nelle direttive, poco socievole con le persone. Ma i Fornovesi hanno fatto ben presto a cambiare opinione su di lui. Si sono accorti che ad ogni funerale durante l'omelia si commuoveva e piangeva sulla bara dei suoi parrocchiani. Hanno compreso che don Giuseppe teneva un cuore tenero dentro una scorza dura. E così i Fornovesi e il loro arciprete hanno cominciato a capirsi a meraviglia.

La prova più singolare ed eloquente del suo cuore indifeso davanti alle persone care io personalmente l'ho avuta quando l'ho cercato per salutarlo quel mattino di marzo 1958, partendo dalla Canonica per scendere a Parma come parroco a Ognissanti. Era scomparso! Dopo pochi giorni mi è arrivato un biglietto con queste parole: "Ti chiedo scusa perché sono fuggito al momento della tua partenza: il cuore non mi reggeva!"
E il suo cuore così attaccato a Fornovo non gli ha mai permesso di staccarsi dalla chiesa e dalla comunità di Fornovo, cui ha donato tutto se stesso con una abnegazione e una generosità che non si riesce a descrivere: tra l'altro ha sempre dimostrato sobrietà e povertà nel suo stile di vita. Dio solo sa e conosce appieno le fatiche, le ansie e i sacrifici della sua esperienza di parroco a Fornovo.

Questi ultimi anni sono stati per lui un vero "calvario", in particolare per la rinuncia progressiva a svolgere la sua missione pastorale. Don Mario Mazza ha saputo fare la sua parte accanto a lui con tanto amore e delicatezza, sostenuto dalla comunità parrocchiale.

Bisogna pure mettere in rilievo le opere murarie che è riuscito a costruire, a cominciare dalla Villa S. Maria, poi la nuova Chiesa di Ramiola, fino alla Casa estiva della Madonna della Guardia alla Cisa per i ragazzi.
Don Giuseppe riusciva sempre a realizzare tutto quello che si metteva in testa: non si fermava davanti alle difficoltà e le dominava sempre. I Fornovesi lo hanno certamente aiutato anche in questo e va dato loro merito di questa collaborazione.

Don Giuseppe era il primo a sapere che i muri non bastano per costruire una comunità cristiana: sarebbe lungo l'elenco di tutto quello che ha fatto per la formazione cristiana dei suoi parrocchiani, aggiornando via via l'azione pastorale con le nuove sfide del Concilio.
Bisogna ammettere che nella attività pastorale aveva la tendenza ad essere accentratore, ma forse questa fatica a delegare i cappellani e i collaboratori era la conseguenza della passione e della gioia che animavano la sua missione di sacerdote e di parroco, che non era mai pago di quello che riusciva a fare.
La sua costituzione robusta, in senso spirituale e anche fisico, la si può comprendere anche per la radice familiare di grande fede (ah, la sua Mamma Maria!) e anche per la sua tempra di montanaro bercetese "rotolato giù dalla montagna" come soleva dire.
A questo punto penso sia lecita una domanda: come Chiesa di Parma saremo ancora in grado di generare dei preti di questa taglia? Dio lo voglia, ci dia l'aiuto della sua grazia e non manchi la nostra buona volontà!

Per concludere voglio raccontare una delle ultime visite che gli ho fatto recentemente alla Casa di cura Piccole Figlie: quel giorno era ancora lucido, anche se non riusciva a parlare. Ho parlato io: gli ho detto di non avere mai visto una persona forte come lui nella determinazione e nel modo di fare il prete e poi gli ho ricordato la sua Mamma Maria, della quale pure io conservo un ricordo straordinario: allora i suoi occhi si sono inumiditi!

Mi pare di poter dire che nella sintesi di questa visita c'è tutto mons. Giuseppe Malpeli, arciprete di Fornovo Taro per 57 anni, dal 1954 al 2011.


TRE PREZIOSE LETTERE di vecchia data di don Giuseppe

Sono stato incerto se trascrivere e aggiungere anche queste tre lettere di don Giuseppe dirette a me, nel timore di essere inopportuno mettendomi in evidenza.  
Ma le lettere sono preziose, perchè antiche (le ho trovate per caso in un cassetto) e soprattutto perchè sono rivelatrici della sua concretezza al servizio della pastorale (prima lettera) e rivelatrici (seconda e terza lettera) dei suoi sentimenti più intimi che solo raramente riusciva ad esprimere.


Lettera ricevuta alla Cisa, quando la colonia era sistemata nella vecchia casa contadina sotto il Passo della Cisa (12/8/54):

Carissimo,
potrei tornare dai ragazzi sabato nel pomeriggio verso sera.
Fai portare (nei paraggi del sig. Laurenti) i materassi (tranne il mio e quello della donna), che saranno poi prelevati lunedì prossimo.
Se hai i soldi dai 10.000 lire alla donna e fatti dare il conto del latte ecc.
Metti la roba da mangiare rimasta nel baule di ferro e fai la nota di quanto è rimasto. Partendo prendi su la chiave delle stanze in basso.
Occorrerà del gas per il fornello per il prossimo turno?
Stamattina mi sono dimenticato di mandare la carne.
Avete rimediato?
Auguri e arrivederci. Saluti ai ragazzi.
don Giuseppe

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Lettera ricevuta dopo il funerale della Mamma, che io avevo celebrato (16/02/76). Aveva tanto insistito perchè lo celebrassi io. Mi ha richiamato “in servizio” perchè ero parroco ad Ognissanti da diversi anni:

Carissimo,
non so come fare ad esprimere la riconoscenza mia e dei mei fratelli per quello che hai fatto in questa circostanza.
La tua partecipazione al nostro lutto è stata generosa e cordiale, come del resto è il tuo stile.
Le parole che hai detto per la mamma ti nascevano dentro.
Grazie, don Domenico, per questa rinnovata dimostrazione di amiciza e di affetto.
So che la mamma ti voleva molto bene e penserà Lei a ringraziarti più di quello che possiamo fare noi.
Spero anche che mi vorrai conservare per l'avvenire lantua amicizia, perchè, nel vuoto che si crea, l'amicizia si rinforza.
Grazie di tutto cuore, mentre ti auguro ogni bene per la tua missione.
tuo aff.mo  don Giuseppe

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Lettera ricevuta dopo il funerale del fratello Luigi (Gigio) cui avevo partecipato (19-10-1988):

Carissimo,
ancora una volta hai dimostrato (come sempre) la tua attenzione fraterna per gli avvenimenti che ci toccano da vicino e in questo caso per la morte di mio fratello Gigio.Te ne sono profondamente grato.
Questo distacco pensavo fosse meno duro; forse con l'età aumentano le sensibilità.
Ti ringrazio anche a nome di Linda e delle mie sorelle. Un po' tutti ti pensano della
nostra famiglia.
Il Signore ti ricompensi e ti sia largo del suo aiuto nel tuo lavoro.
Ricordami nella preghiera!
don Giuseppe.


Profili di preti: mons. Giovanni Barili

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

MONS. GIOVANNI BARILI
4 novembre 1881 - 7 settembre 1962

MonsGiovanniBariliProtagonista per decenni della Chiesa di Parma. Silenzioso, saggio e umile, come Vicario generale e come Rettore del Seminario Maggiore.

- nato a Tizzano Val Parma il 4 novembre 1881
- ordinato sacerdote il 24 settembre 1904
- parroco di Rusino nel 1905
- parroco di Serravalle nel 1911
- Rettore del Seminario Maggiore dal 1928 (con una breve interruzione nel 1932) fino  al 1956
- Arcidiacono della cattedfrale nel 1934.
- Vicario Generale dal 1933 al 1962
- Prelato Domestico di Sua Santità e Protonotario Apostolico
- deceduto il 7 settembre 1962


Mons. Giovanni Barili: un prete singolare, venuto giù da queste montagne, abitate allora da gente povera e umile, quando in tanti paesi non c'erano neppure le scuole elementari. I ragazzi erano destinati purtroppo a crescere rigorosamente analfabeti. Certamente di questo si ricorderà mons. Barili quando sarà parroco a Serravalle.

Una delle poche possibilità per coltivare gli studi era il Seminario, oppure era il benessere della famiglia in grado di mandare i figli in città a studiare.

A Giovanni è sbocciata la vocazione fin da bambino ed è andato prima in Seminario a Berceto per il ginnasio, poi a Parma per il liceo e la teologia.
La famiglia del ragazzo Giovanni Barili era una famiglia di contadini con cinque figli: forse la nipote Domenica (assente) e i pronipoti presenti potrebbero dirci qualcosa di più.
Intanto va subito detto che mons. Giovanni Barili con la sua vita ha saputo esprimere al meglio le doti meravigliose di tanti preti di una volta, usciti spesso da ambiente e cultura contadina, educati nel sacrificio e nella povertà da famiglie piene di fede.

Della sua vita di seminarista si racconta un episodio dell'ultimo anno di Teologia, che la dice lunga sul tipo che era il chierico Giovanni Barili e sulla disciplina molto dura del tempo, anche in  Seminario.
È un episodio variamente riferito e tramandato, ma è successo allora qualcosa di severamente proibito. Deve essersi trattato, durante una passeggiata, di una sosta in osteria per mangiare un buon pezzo di pane, magari con relativo companatico, e bere un buon bicchiere di vino: si vede che aveva proprio fame!
Per effetto di questa trasgressione è stata rimandata di qualche mese (da giugno a settembre 1904) la sua ordinazione sacerdotale ed è stato poi "spedito" (1905) parroco a Rusino, uno dei paesi allora più scomodi della Diocesi, anche se c'era per lui il vantaggio di essere vicino a Tizzano.
Ma proprio a Rusino è incominciato un cammino che ha portato il prete don Barili a diventare Rettore del Seminario e Vicario generale, come stretto e fedele collaboratore del grande vescovo mons. Colli: il massimo per un sacerdote diocesano assumere questi due incarichi!

Il vescovo mons. Colli, proprio nel giorno delle esequie in Cattedrale, ha voluto onorare mons. Barili, oltre che come Vicario generale, anche come parroco di Rusino e Serravalle.
In quella solenne celebrazione il Vescovo ha affermato che aveva voluto condurre lui stesso i seminaristi più grandi a visitare Rusino, dove in sette anni di presenza come parroco il giovane don Barili era riuscito a trasformare il paese in una comunità coesa sui valori della fede e si era attivato con varie iniziative, compresa la costituzione di una piccola banda, di cui lui stesso era l'insegnante e il maestro. Aveva insegnato tanti canti liturgici (es. Laudate Dominum), che si sono tramandati e si cantano ancora.

Da Rusino, dove evidentemente si era subito fatto notare per quello che valeva, è stato mandato parroco (1911) a Serravalle di Varano Melegari, la parrocchia che custodisce un tesoro inestimabile: un edificio battesimale risalente a prima del Mille.
Anche a Serravalle don Barili non passa inosservato: si fa ammirare con molte attività non solo di carattere pastorale ma anche sociale, come la formazione di una cooperativa in un caseificio.
Ma l'iniziativa più significativa è stata la scuola parrocchiale, organizzata in modo serio ed efficiente per i ragazzi che gli si affidavano, venendo anche da fuori paese e facendo comunità con lui nei locali parrocchiali: ne è nata una generazione di bravi e valenti professionisti.
È giusto ricordare che tanti parroci di quel tempo, anche senza mettere insieme scuole parrocchiali ben organizzate come a Serravalle, hanno fatto la loro parte preparando culturamente i ragazzi.  

Verso la fine degli anni '20 il Seminario di Parma navigava in acque poco tranquille, per la inefficiente organizzazione interna e quindi per le carenze disciplinari.
Il santo vescovo Conforti ne era preoccupato e aveva individuato in don Barili il Rettore adatto e così nel 1928 lo ha fatto scendere da Serravalle e gli ha affidato il Seminario.  Dopo la morte di san Guido Conforti (5 novembre 1931) è arrivato nel 1932 il nuovo Vescovo Evasio Colli, il quale, in maniera senza dubbio improvvida e brusca, lo ha rimandato a Serravalle. È facile immaginare la sofferenza di don Barili per questa decisione per lui umiliante.
Ma non è finita qui: la storia delle persone ha le sue rivalse! Subito l'anno dopo (1933) mons. Colli si è "pentito" della sua decisione precedente e lo ha richiamato a fare il Rettore del Seminario, questa volta in modo definitivo (1933-1956) e non solo: lo ha nominato Vicario generale della Diocesi (1933-1962).

Come Rettore mons. Barili, nominato nel frattempo anche Arcidiacono della Basilica Cattedrale (1934), ha educato per quanto di sua competenza (c'era in parallelo il Direttore spirituale) intere generazioni di sacerdoti, ai quali ha insegnato con il buon esempio (faceva per quanto possibile vita comune con noi anche nelle pratiche di pietà) e con l'organizzazione disciplinare e scolastica della vita del Seminario, senza mai dimenticarsi di essere prete. Aveva sempre la preoccupazione di preparare noi seminaristi a fare i preti, come ad es. nelle sue ultime istruzioni che ancora ricordiamo con commozione: ci ha insegnato il modo pratico di celebrare la Messa, per la quale dovevamo essere pronti a figurare bene fin dalla prima Messa solenne!
Che Rettore era mons. Barili? Io ho fatto i sette anni del Seminario Maggiore con lui e ne ho un ricordo sostanzialmente positivo.
Era figlio del suo tempo come mentalità, concezione della disciplina e sensibilità sui problemi formativi, ma aveva una dote spiccata di buon senso ereditato sicuramente in famiglia. Che famiglia meravigliosa e ricca di fede deve essere stata la sua!
Questo buon senso gli permetteva di trovare spesso, anche se non sempre, le vie di uscita più sagge nella vita del Seminario.
La vita del Seminario a quei tempi era dura, con una disciplina che oggi appare incomprensibile, ma ci vuole intelligente benevolenza per i tempi e le persone. Una cosa però è certa: in questo modo noi seminaristi e futuri preti siamo stati temprati ed educati al sacrificio!

Anche come Vicario generale, forse seguendo le indicazioni del Vescovo Colli, ha avuto atteggiamenti severi e qualche volta punitivi verso i preti.  
Un esempio per tutti. Il parroco di Pratopiano don Agostino Bongiorni era stato fra i primi in quella zona di montagna a usare l'auto. Un giorno si è prestato a portare con urgenza all'Ospedale una partoriente. Il Vicario gli ha proibito l'uso della macchina per un mese!
Ma anche don Bongiorni, ormai anziano, ha avuto la sua rivalsa: nell'anno della beatificazione del Card. Ferrari il vescovo mons. Cocchi ha fatto "monsignore" questo umile prete di montagna, come parroco della parrocchia di origine (Pratopiano/Lalatta) del Beato.

Mons. Barili aveva in sè alcuni tratti contradditori del temperamento, che alla fine lo rendevano simpatico, facendosi accettare per come era.
Sembrava (ed era anche) duro, nelle direttive sulla disciplina, ma poi spesso si commuoveva senza ritegno: quando entrava in certi argomenti, come nei brevi pensieri di ogni sera prima del riposo, sapeva essere dolce e tenero.
C'era allora la regola ferrea della proibizione del dialetto. Il Rettore minacciava addirittura di mandare via dal Seminario chi parlava in dialetto. A sentire questa minaccia è capitato anche me e a don Celestino Abelli, che siamo rimasti esterefatti quando siamo andati insieme a salutarlo prima di partire per le vacanze estive. Poi regolarmente lui si lasciava sfuggire battute in dialetto, che ancora oggi noi ricordiamo con gusto.
Ma la sua esperienza, lo sappiamo, non si è ristretta al Seminario.

I suoi quasi trent'anni (1933-1962) di servizio alla Diocesi come Vicario generale non sono stati facili e in particolare durante la guerra si sono intrecciati spesso i suoi problemi come Rettore e come Vicario.
Dal prezioso libro dello Schiavi "La Diocesi di Parma" edito nel 1940, risulta che nel 1939 c'erano 349 sacerdoti diocesani. Era certamente meglio che adesso, ma questo numero così alto procurava anche non poche difficoltà per organizzare la pastorale in Diocesi e per certi inevitabili casi personali delicati. E poi non c'era alcuna previdenza per il clero come ora: pensiamo ai preti ammalati e anziani del tempo.
Soprattutto il periodo bellico deve essere stato vissuto in modo drammatico non solo dal Vescovo ma anche da mons. Barili, Vicario generale e Rettore del Seminario. Basta pensare ai poveri parroci di montagna allo sbaraglio con le puntate dei tedeschi che arrivavano con la rappresaglia facile nei confronti della popolazione dopo le azioni dei partigiani.
Basta pensare ad alcuni giovani preti messi al muro (don Aldo Pettenati a Bergotto e don Antonio Savi a Ceda/Cozzanello), minacciati e pronti per essere fucilati e a preti braccati e in fuga, che i tedeschi riescono ad azzoppare, come nel caso di don Angelo Superchi di Vestola che si salva solo perchè si finge morto. E poi c'è l'avventura dolorosa di don Longhi, messo in carcere con relative sevizie, perchè scoperto in canonica con dei militari inglesi fuggiti l'8 settembre '43 dal campo di concentramento di Fontanellato.
E don Marino Bertoni, parroco di Lesignano Palmia, frazione di Terenzo? Era stato arrestato dai soldati repubblichini della divisione Monte Rosa, accampati a Terenzo, perchè con il Podestà Ferretti, appena fucilato, era ritenuto complice dei partigiani nella uccisione di due militari. Chiuso in una stanza del Comune, ha ascoltato la sua condanna a morte decisa dagli ufficiali riuniti nel locale accanto, ma ha schivato la fucilazione per l'intervento di don Pietro Rossolini, allora giovane parroco di Terenzo: ha potuto avvisare tempestivamente il Vescovo Colli che è intervenuto e ha salvato don Bertoni.
Nell'alta Val Taro è stato ucciso dai tedeschi il seminarista Subacchi del nostro Seminario: non è più tornato dopo la guerra come gli altri seminaristi!
C'è pure da ricordare la uccisione di don Giuseppe Violi, parroco di S, Lucia di Medesano, subito dopo la guerra: un delitto rimasto oscuro, almeno ufficialmente, nelle motivazioni e negli autori.
Bisogna inoltre tenere presente il numero consistente di parroci e di seminaristi che sono stati "rastrellati" dai tedeschi assieme alla popolazione:
don Umberto Miani, parroco di Calestano, don Innocenzo Boschi, parroco di Fragno, don Achille Monti, parroco di Berceto, i seminaristi Adelmo Monica e Antonio Bianchi di Langhirano, Dante Paglia di Tizzano, Romeo Mori di Traversetolo, Giovanni Patanè che era presso lo zio don Salvatore Buda parroco di Campora.
Il caso più singolare è stato quello di don Ernesto Zini, appena ordinato sacerdote il 3 giugno 1944: era ancora in famiglia ed è stato portato via anche lui dopo neppure un mese, quando ancora doveva fare l'ingresso come parroco a Madurera.
Sono stati ammassati come le bestie sui camions assieme agli altri "rastrellati" e portati a Bibbiano (RE). Sono stati poi rilasciati per l'interessamento di mons. Colli, tornando a casa ovviamente a piedi.
Non è difficile immaginare l'angoscia del Vescovo e del suo Vicario per tutti questi episodi e per le popolazioni della Diocesi continuamente in pericolo con l'incubo dei tedeschi.
Alla fine della guerra il vescovo Colli è stato perfino accusato di connivenza con i tedeschi, ma invece, con la forza e il prestigio della sua personalità, non solo ha salvato i suoi preti e seminaristi, ma ha pure evitato tanti guai alle popolazioni.
E poi i bombardamenti aerei: è stata colpita più di una volta la città con molte vittime (es. al Cornocchio). E anche i paesi non sono stati risparmiati, come il mio paese di Calestano con quattro bombardamenti, una ventina di vittime e la Chiesa squarciata.
I seminaristi del Maggiore e del Minore sono stati spediti in tutta fretta in famiglia subito dopo il terribile bombardamento del 25 aprile '44, con il Seminario Maggiore leggermente colpito. I seminaristi sono stati richiamati in Seminario solo nel giugno/luglio 1945. Gli esami dell'anno scolastico '43/'44 sono stati organizzati in trasferta presso le Suore Orsoline di S. Michelino e le Ordinazioni sacerdotali sono state celebrate il 3 giugno '44  a Mezzano Rondani, ospiti del parroco don Giuseppe Schianchi.  

Come poteva essere sereno e tranquillo in questo periodo il nostro caro mons. Barili dalla lagrima facile, in sintonia con le ansie del suo Vescovo? Hanno sofferto insieme e hanno agito insieme per affrontare tutti questi casi drammatici.
Bisogna proprio dire che il vescovo Colli non si è sbagliato nel scegliere mons. Barili come Vicario e come Rettore. Grande conoscitore delle persone, si è accorto che mons. Barili era il collaboratore ideale per averlo al fianco e così per tanti anni è stato il suo uomo di fiducia.
Mai nessuna ombra ha oscurato il lungo servizio di mons. Barili alla Diocesi. È stato di una rettitudine morale assoluta e di una fedeltà totale al suo dovere.

C'è un caso tipico che merita di essere raccontato: una forma di nepotismo.... alla rovescio. Suo nipote sacerdote, don Francesco Barili, dopo l'Ordinazione è stato mandato parroco a Prelerna di Solignano, un paese allora senza neppure una strada camionabile, raggiungibile solo con una carreggiata. Ebbene, lo zio Vicario lo ha lasciato sempre là! Solamente mons. Pasini, suo successore, ha provveduto poi a farlo scendere e a dargli la parrocchia di Bazzano.

Forse mons. Barili era il primo ad avere soggezione del vescovo Colli: in realtà dava a tutti noi questa impressione. Ma il Vescovo Colli aveva proprio bisogno di collaboratori così, che avessero soggezione di lui, perchè era un Vescovo cui si poteva applicare benissimo la famosa frase che un cronista sportivo aveva applicato a Coppi in fuga: "Un uomo solo al comando". Ad es. da quello che mi risulta nel mio caso personale, il vescovo nel 1958 ha detto prima a me che al Vicario e al Cancelliere mons. Marocchi, che dovevo andare parroco a Ognissanti.
Con il Concilio mons. Colli era rimasto letteralmente spiazzato. Con la sua mentalità e la sua formazione spirituale e pastorale di fine '800 e inizio '900, non si trovava più nel nuovo tipo di Chiesa che stava uscendo dal Concilio: tornava da Roma sconcertato dopo le sessioni conciliari e non ne faveva mistero quando parlava con i seminaristi.
L'età avanzata lo ha aiutato nel 1966, con molta saggezza e dignità, a farsi da parte conservando il titolo di vescovo di Parma, ma già all'inizio del 1962 aveva nominato come nuovo Vicario generale mons. Pasini al posto di mons. Barili che dal 1956 non era più Rettore e che ormai era stanco e anziano per fare ancora il Vicario: infatti morirà lo stesso anno, il 7 settembre 1962.
Mons. Pasini, che nel frattempo era diventato vescovo ausiliare (13 gennaio 1966), al momento della rinuncia di mons. Colli (1966) è diventato Ammnistratore Apostolico e alla morte di mons. Colli (1971), è diventato vescovo di Parma a titolo pieno.
Mons. Barili era rimasto ad abitare in Seminario anche dopo che non era più Rettore, trattato con estrema delicatezza, carità e signorilità dal nuovo Rettore mons. Pietro Triani.
E così il Seminario ha raccolto i suoi ultimi respiri e "sospiri", dopo che era stato protagonista per decenni del Seminario stesso e della Diocesi.
È stato rimpianto con sinceri sentimenti di stima e di affetto da tutta la Diocesi e in particolare dai tanti preti che lui ha accompagnato negli anni del Seminario e del sacerdozio e che gli hanno voluto bene.

La Chiesa di Parma gli deve molto: Dio solo sa quanto ha sofferto e faticato nella sua vita per la Diocesi. Senza fare baccano e senza suonare la tromba, ha segnato un'epoca con la sua personalità non appariscente, ma concreta e sostanziosa, sostenuto da una fede straordinaria e da una vita sacerdotale esemplare. Che cosa vogliamo di più?
Mons. Barili ha veramente meritato l'accoglienza evangelica al servo fedele: "Bene, servo fedele. Entra nel gaudio del tuo Signore!"

Dopo 50 anni dalla morte e forse 50 anni di silenzio inspiegabile sulla sua figura così importante per la Diocesi, bene ha fatto il parroco don Giovanni Orzi a organizzare questo memoriale per salvare mons. Giovannni Barili dal rischio dell'oblio definitivo.

Oltretutto è una grande gloria di Tizzano!

Pieve di Tizzano, 11 novembre 2012, nel 50° anniversario di morte di mons. Barili
(tratto da “Vescovi, preti, suore e amici”, di don Domenico Magri - Likecube - 2014)


Profili di preti: don Franco Guiduzzi

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON FRANCO GUIDUZZI
16 febbraio 1924 - 9 settembre 2005

DonFrancoGuiduzzi

Don Franco aveva, come si dice, l’argento vivo addosso: mai fermo! Era un parmigiano doc, cresciuto nel centro storico. Fondatore della Chiesa di S.Maria della Pace, parroco per poco tempo di Castrignano, parroco di Santa Croce, responsabile di Emmaus con le Case di riposo come successore di mons Boraschi. E così è riuscito a costruire Villa S. Ilario, la Cappella S.Ilario e il grande refettorio di S.Bernardo. Ma sopratttutto ha “costruito” in Villa S. Ilario un clima caldo di affetto con l’accompagnamento fraterno dei preti anziani. Ha amato la Chiesa di Parma e la sua gente.

- nato a Parma il 16 febbraio 1924
- deceduto a Parma in Casa di Cura Piccole Figlie il 9 settembre 2005
- ordinato  presbitero in Cattedrale a Parma il 29 giugno 1948 da  mons. Colli
- Cappellano a Colorno dal 1948 al 1954
- Parroco a S. Maria della Pace dal 1954 al 1970
- Parroco a Castrignano dal 1970 al 1972
- Economo Spirituale a Riano nel 1972
- Parroco a S. Maria in S. Croce dal 1972  al 1991
- Direttore Ufficio Liturgico dal 1963 al 1966
- Responsabile di Emmaus (Villa S. Bernardo, Villa S. Ilario, Villa S. Clotilde) dal 1992 al 2002
- Direttore Ufficio Pastorale Salute diocesano e regionale
- Delegato Episcopale per la Testimonianza del Popolo di Dio dal 2000 al 2003
- Presidente Fondo di Solidarietà per il Clero dal 2002
- Segretario della Visita Pastorale dal 2003 al 2005.

Quando, poche ore dopo la  sua morte, sono andato a pregare davanti alla sua salma, con sentimenti di commozione profonda mi sono detto: "Finalmente don Franco riposa, con i piedi stanchi e nudi, dopo avere fatto tanta strada nei lunghi anni della sua vita". È sempre stato difficile il "fermo immagine" di don Franco, un prete di una attività instancabile, sempre in movimento. Ordinato sacerdote nel 1948, è stato cappellano a Colorno, parroco a S. Maria della Pace, dove la nuova chiesa era quasi finita, ma c'era da costruire una nuova comunità, parroco a Castrignano di Langhirano, per 19 anni parroco a Santa Croce, per 9 anni presidente e animatore spirituale del Centro Emmaus per gli anziani, dove tutto parla di lui e dove è stato padre, fratello e amico di tutti.
Al Centro Emmaus, continuando l'opera dell'indimenticabile fondatore Mons. Boraschi, don Franco è stato un grande costruttore: Villa S. Ilario per ospitare i sacerdoti, la grande e maestosa sala da pranzo di Villa San Bernardo, la Cappella di Villa S. Ilario e la palazzina direzionale. Non bisogna inoltre dimenticare che ha preso in consegna dalle Suore del Buon Pastore il pensionato femminile di S. Clotilde e lo ha inserito come terzo polo nel Centro Emmaus.
Da buon prete quale era, è stato una saggia guida spirituale per tutti: preti, suore, ospiti, operatori, con una particolare attenzione al gruppo dei volontari, che sono il fiore all'occhiello di Emmaus.


Venendo via da Emmaus nel 2002, il suo impegno non ha avuto sosta: ha continuato il suo servizio prezioso nella pastorale della sanità a livello regionale diocesano, ha fatto assistenza spirituale alla Casa di Cura Piccole Figlie, è diventato segretario del Vescovo per la Visita pastorale...

I malati erano la sua "passione" e adesso è facile pensare che il "Calvario" della sua malattia è la prova che non è stato capace solo di confortare gli altri, ma, venuta la sua ora, ha saputo dare l'esempio della sua fede e del suo coraggio nella sofferenza della malattia che lo ha portato alla morte. Don Franco ha stupito tutti per lo spirito con cui si è avvicinato, giorno per giorno, all'incontro con il suo Signore: è morto da vero uomo, da vero cristiano, da vero prete. Possiamo dire che ha fatto della sua morte una autentica e solenne celebrazione: è stata la sua ultima Messa, la più preziosa, davanti a Dio e davanti a tutti noi.

Don Franco era comunque un punto di riferimento per tanti, che in città, dove lui era nato, lo conoscevano, lo apprezzavano e sentivano il bisogno della sua parola di luce e di speranza che sapeva trasmettere a tutti: basta pensare al caso drammatico Silocchi-Nicoli.

Era soprattutto il grande amico dei preti, di tutti i preti, dai quali era riamato, perchè si sentivano raggiunti dalla sua attenzione affettuosa sempre, ma particolarmente nei momenti della sofferenza e della malattia: quante corse all'ospedale, appena veniva a conoscenza del ricovero dei sacerdoti!

Sento il bisogno di aggiungere che la mia vita si è intrecciata spesso con la sua e sempre in modo positivo e fecondo per me.
Quando lui era parroco a S. Maria della Pace, io ero parroco a Ognissanti, mentre il compianto don Celso Pelosi, morto giovane a Roma in un incidente stradale nel 1976, era parroco a Santa Croce. Mi ricordo che avevamo stretto un sodalizio amicale e pastorale a tre: quanti contatti e scambi di esperienze! Eravamo giovani e su di noi spirava forte e impetuoso il vento nuovo del Concilio.
Non ci siamo persi di vista neppure quando io sono andato parroco a Langhirano. E a Langhirano è arrivato un pomeriggio dei primi giorni di maggio del 2002, a nome del Vescovo, a chiedermi di lasciare Langhirano e di sostituirlo al Centro Emmaus: non aveva dimenticato il mio indirizzo! Ho il fondato sospetto che sia stato don Franco a suggerire il mio nome al Vescovo.

Tutti sappiamo che amava la montagna e compiva spesso imprese anche spericolate, secondo lo stile del suo temperamento: nella vita sapeva infatti affrontare situazioni difficili con molta fede e molto coraggio.
Solo due volte io sono stato suo compagno di escursione. La prima volta nel 1960, quando ero in vacanza a Cervinia, dove un bel giorno mi è capitato davanti per caso e mi ha subito trascinato sui ghiacciai del Plateau Rosa, fino alla cima del Braithorn a 4170 metri di altitudine.
La seconda volta è del 29 maggio 2003, appena due anni fa, quando forse la malattia era già in agguato. Con don James Schianchi, nostro comune amico, abbiamo fatto una "scampagnata" sui miei monti di Calestano e abbiamo mangiato insieme in località Colnello, nella casa-rifugio che avevamo a disposizione. Eravamo allegri: era allegro e pieno di brio anche don Franco, che non sapeva certo della malattia che lo aspettava. In fatto di convivialità gioiosa don Franco non era secondo a nessuno!
Alcuni giorni dopo mi ha colto di sorpresa con un gesto che rivela la sua sensibilità e la esuberanza della sua amicizia. È arrivato con una bella foto che lui aveva scattato a me e don James: con la foto aveva fatto confezionare un quadretto e dietro aveva scritto una breve composizione poetica, con tanto di rima, che termina così:
"Qui l'amicizia ci ha chiamati a convegno
e qui siamo in cerca di fraterno sostegno".
E qui, aggiungo io, c'è tanta parte del fantastico personaggio "don Franco Guiduzzi".
Naturalmente il quadretto me lo sono attaccato alla parete e lo conserverò come una reliquia!

(tratto da “I miei preti..... I nostri preti”, di don Domenico Magri - Grafica Langhiranese - 2008)