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Profili di preti: don Gianni Gabba

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri e fino al settembre 2018, poi, come in questa pagina, da don Stefano Rosati.

Mercoledì della XIV settimana del Tempo Ordinario
«Gesù, chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli
e guarire ogni malattia e ogni infermità. I nomi dei dodici apostoli sono…»

(Mt 10,1-2) 

Questa notte, nel sonno, il Signore ha chiamato a Sè


DON GIANNI GABBA
(19 luglio 1932 - 6 luglio 2022)
vicario parrocchiale di Costamezzana

 

Don Gianni GabbaNato a Ghiara di Fontanellato il 19.07.1932 da Gino e Seletti Evelina, ha conservata per tutta la vita una fortissima ammirazione per d. Angelo Zanella, il suo “priore”, che è stato parroco di Ghiara dal 1937 al 1996, colui - diceva - che lo aveva “messo” in Seminario. Al termine del cammino del minore e del maggiore viene ordinato presbitero nella Basilica Cattedrale dal vescovo Evasio Colli il 1° novembre 1958, giorno di Ognissanti. Insieme ad altri sette “compagni di classe”, di cui 5 viventi (Bocchi, Ferrari, Maggiali, Piazza, Tarasconi). L’amicizia tra loro non è mai venuta meno ed almeno una volta all’anno si sono sempre ritrovati per concelebrare una Messa di ringraziamento e trascorrere una giornata in compagnia.

Viene subito inviato nel Vicariato “modello” di Corniglio come parroco di Marra e Roccaferrara (1958-1968), ma nei successivi 21 anni è parroco di Pontetaro-Castelguelfo (1968-1989), dove succede al suo compagno di classe mons. Giulio Ranieri, che aveva sì “fondato” la parrocchia, ma è stato lui, d. Gianni, che ha costruito la chiesa nuova, essendo la vecchia ormai decentrata e sottodimensionata rispetto allo sviluppo dell'insediamento residenziale e produttivo. La chiesa, dalla caratteristica “pianta a ventaglio”, ha ingresso preceduto da un'ampia scalinata e culmina con un tetto in acciaio coronato da una grossa croce metallica. Il paramento murario esterno ed interno, nell'intento di creare continuità con il passato, è interamente realizzato in mattone a vista. All'interno, la sede e l'altare sono in asse con il fonte battesimale che si trova di fronte e al centro dell'ingresso e sono tutti realizzati in granito, così come l'ambone.

Mentre realizzava la Chiesa “di mattoni”, d. Gianni si è dedicato a costruire quella “di persone”: coniugando un buon carattere e tanto zelo pastorale, grazie a cui si è sempre fatto apprezzare da tutti per le tante iniziative e progetti messi in campo. A Pontetaro stima per lui ed amicizia con lui arrivano ad oggi, tanto che sarà proprio nella “sua” chiesa di Pontetaro che si terranno le sue esequie!

Lo stesso può dirsi degli anni in cui è stato parroco di San Paolo Apostolo in città e Vicopò (1989-1998), dove nel 1992 ha potuto inaugurare i nuovi locali da adibire alle attività pastorali, completando così la costruzione della struttura iniziata dal suo predecessore d. Giuseppe Montali nel 1980. Vengono aggiunti un discreto salone con 6 aule sovrastanti per la catechesi.

Umile e zelante lo è stato anche come parroco di Baganzola (1998-2014) e vicario zonale della Zona di Baganzola-San Pancrazio. E altrettanto in questi ultimi anni, anche se limitato dagli inevitabili acciacchi dell’età, è stato sempre disponibile ad aiutare il parroco come vicario parrocchiale di Costamezzana e collaboratore della parrocchia di Noceto (2014-oggi).

Don Gianni, umile e buon “operaio dell’Evangelo”, entra a ricevere il premio preparato dal Signore per i suoi servi fedeli!

don Stefano Maria

Parma, 6 luglio 2022

(Il pdf di questo profilo è scaricabile da qui)


Profili di preti: padre Silvio Turazzi

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri e fino al settembre 2018, poi, come in questa pagina, da don Stefano Rosati.

«L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori
per mezzo dello Spirito che abita in noi»

(Rm 5,5) 

Oggi è entrato nell’infinito di Dio-Amore


PADRE SILVIO TURAZZI
(14 luglio 1938 - 26 maggio 2022)
Missionario saveriano

 

Padre Silvio TurazziTra i profili di preti, che ci ha lasciato d. Domenico Magri ci sono, e giustamente!, anche religiosi e missionari legati alla nostra diocesi. Tra questi ultimi, e con tanta riconoscenza!, non poteva dunque mancare la figura di padre Silvio Turazzi, missionario saveriano, che negli ultimi 30 anni ha testimoniato il Vangelo, vivendolo e servendolo in quel di Vicomero.

Per ricordarlo, aggiorno una bella testimonianza di Marina Piccone, apparsa sulla rivista dei Paolini “Credere. La gioia del Vangelo” 42 (2014).

“Lo si vedeva percorrere le vie di Stellata di Bondeno, il suo paese natale in provincia di Ferrara, in bicicletta, fedele compagna di quella che lui chiama la prima fase della sua tappa terrena.
La seconda fase coincide con un terribile incidente in cui, a 29 anni, perde l’uso delle gambe ed è costretto su una carrozzina. Ma questo non impedirà a padre Silvio Turazzi, missionario saveriano, oggi 76 anni (n.d.s. l’articolo risale al 2014: ad oggi sono 83 anni), di portare a compimento il suo progetto di vita percorrendo strade impervie, in senso letterale e no, con il suo nuovo mezzo di locomozione. Ma partiamo dall’inizio.

Nato il 14.07.1938, trascorre un’infanzia bella con due genitori amatissimi e cinque fratelli, uno dei quali, Andrea, è diventato vescovo di San Marino-Montefeltro (2013).
«Andrea - ricorda padre Silvio - all’età di 5 anni giocava con gli amici a fare il prete, ricordo le processioni che faceva nell’orto. È entrato prestissimo in seminario, a 9 anni». Della loro famiglia, racconta padre Silvio, il viso affilato e il sorriso timido: «Eravamo molto uniti, ci volevamo bene».
Il piccolo Silvio entra in seminario a 12 anni. Gli studi di Teologia e poi l’ordinazione a sacerdote, a 26 anni.

Dopo due anni di parrocchia entra nell’Istituto missionario dei Saveriani, a Parma, con l’idea di vivere la sua vita sacerdotale in maniera itinerante e non stanziale, «un modo di guardare il mondo con gli occhi di Dio; camminare con lui per sanare, unire, riconciliare».

È in partenza per il Giappone quando, il 1° maggio 1969, un incidente d’auto gli spezza la spina dorsale, «l’incontro duro con la sofferenza». Nove mesi di ospedale. «In quei giorni il Signore mi ha ripetuto “Sono qui”. Mi aiutava a rimettermi a zero, a cogliere meglio l’essenziale».
Senza spazio per la commiserazione, «cambiava la modalità, non l’orientamento della mia vita».

Nel 1971 è a Roma fra i baraccati dell’Acquedotto Felice, con i quali condivide la battaglia per la casa. Insieme alle amiche Edda Colla, che rimarrà sempre al suo fianco, fedele alla promessa che aveva fatto dopo l’incidente a cui aveva assistito, e Paola Mugetti. «Abitavo sotto agli archi in uno spazio sufficiente solo per il letto e la carrozzina. Con altre centinaia di persone facevamo vita comunitaria. C’era molta umidità. I bambini si ammalavano».
Ottenute le case e i servizi, padre Silvio dichiara concluso il suo lavoro e chiede di andare in missione in Africa.

Il 3 dicembre 1975 parte per la Repubblica democratica del Congo, allora Zaire, insieme a Edda e Paola. A Goma, capoluogo del Nord Kivu, vive e lavora in un centro per disabili. «Ho pensato alla novità del sentirmi fratello in un contesto dove la gente è stata tante volte umiliata da una presunta superiorità razziale. Quando gli abitanti mi hanno visto dire Messa in carrozzina hanno detto: “Allora è uno come noi”».

Realizza un piccolo villaggio della solidarietà, Muungano.
«Una casa comunitaria di quartiere. Ci occupavamo di sociale, salute, alfabetizzazione. Abbiamo creato laboratori di artigianato, falegnameria, cucina, cucito. Ci è sembrato che la popolazione apprezzasse il timbro personale della nostra presenza, il desiderio di migliorare il luogo in cui vivevamo, l’aver lasciato la nostra terra per vivere in spirito di fraternità».
Pensava di finire lì la sua vita, padre Silvio, ma nel 1992 una grave malattia lo costringe a tornare in Italia e, dopo un altro tentativo di ritorno in Congo, a rientrare definitivamente, alla fine del 1993.

Nel 1995, un’altra dura prova. In viaggio verso Loreto con le amiche di sempre, un’auto si abbatte sulla loro macchina. Paola muore. Di nuovo l’attribuzione di un senso al dolore. «Il dolore non è un incidente, è un fatto legato alla vita, che si apre attraverso di esso. È una realtà che rappresenta un invito a tenersi per mano, l’attesa di qualcosa di più che avverrà oltre la dimensione spazio-temporale che stiamo vivendo. Il paradiso è l’ultima risposta».

A Vicomero inizia la terza fase della sua vita, con la costituzione della Fraternità missionaria. L’apertura ufficiale della casa risale al 6 ottobre 1996, anche se questa aveva iniziato il suo cammino nella periferia di Roma (1970), per poi continuarlo a Goma (1977).
La fraternità di Vicomero è una famiglia allargata. Un piccolo agglomerato con tre case: in una lui, Edda, sette ragazzi e due donne di diversa nazionalità; nelle altre, due famiglie. Un giardino con l’orto e una piccola cappella in legno. «Essere un gruppo disperso nel popolo era il progetto di vita che Edda e io avevamo fatto ancora giovani. Una consacrazione diversa rispetto a quella tradizionale, una presenza religiosa meno strutturata, più elastica e discreta. Una piccola comunità che prega e affronta insieme la quotidianità, con tutti i problemi che questo comporta».
Qui il sacerdote e Edda gestiscono un mercatino del riciclo e un laboratorio d’artigianato. Con i proventi di queste attività, la pensione da invalido civile e l’aiuto di amici, continuano a sostenere Muungaano Solidarieté, a Goma, e aiutano i ragazzi a terminare la scuola e nella ricerca di un lavoro. Una vita sobria, fedele a un altro “precetto” del progetto di vita: tendere alla povertà intesa come libertà dalle cose e ricerca di ciò che conta.

A Vicomero, la disponibilità al servizio alla parrocchia della Purificazione di Maria, soprattutto per le celebrazioni, ma non solo, è stata ugualmente pronta, ogni volta che gli fosse richiesto, prima durante la vecchiaia e poi il ritiro del parroco “storico” d. Giovanni Lavezzini, poi durante la malattia di d. Alfredo Bianchi, parroco della vicina Castelnovo e dopo la morte di questi, quando la cura pastorale è stata affidata al parroco moderatore di Baganzola d. Corrado Vitali. Oggi, la consapevolezza di essere alla fine del suo percorso. «Sento di passare a un’esperienza più forte del mio limite, di scoperta del nulla di sé. Un passo verso l’infinito». Quel giorno, ne siamo sicuri, Silvio si alzerà dalla carrozzina, inforcherà la sua bicicletta e pedalerà fino a perdersi nell’orizzonte.

E aggiungo un’altra sua testimonianza, più recente (2021), quella di paziente Covid, apparsa sul quotidiano locale:

Sono all’ospedale, reparto Barbieri, zona rossa, guidato dalla professoressa Tiziana Meschi. Condivido qualcosa di questa esperienza. Non nascondo un timore iniziale. Osservo le persone: ammalati e personale medico. Ascolto il ritmo di chi porta il casco-ossigeno. Vedo correre delle “gazzelle di Parma”, giovani donne e uomini. Tanti vengono dal sud o da altri paesi. Portano una tuta bianca da “astronauti”, così la chiamano, ma dentro c’è un cuore empatico. Aiutano le relazioni con le famiglie. Lo stesso atteggiamento l’ho visto nel reparto di rianimazione dove il personale è più numeroso.
Dove c’è amore, lì c’è Dio. Noi ammalati di Covid entriamo con paura. Qualcuno dice «adesso mi manca il fiato». «Voglio morire». Poi dirà: «Voglio vivere!». Aveva detto a una nigeriana: «Sei nera!». Ero triste… «Non preoccuparti», mi disse, e lo aiutò con amore. Una lezione per me. Poi tutti amici!

È bello sentire le relazioni tra gli ammalati e le famiglie. «Metti i fiori vicino al balcone», uno dice alla moglie. Un altro raccomanda di salutare tutti i nipoti. Io ho chiesto di portare Gesù-Eucaristia e il cappellano francescano è arrivato. Vivo le delusioni di chi aspetta di andare a casa. Il rinvio è doloroso. Ci guardiamo, portando insieme dolore o rabbia e la speranza di tornare a casa. Per me una vera scuola.
Sono contento di aver vissuto il Natale qui, tanto vicino a quello di Gesù, di potere benedire tutti i giorni questa famiglia di Dio. La Benedizione è come una tettoia della mano del Risorto. Zona rossa non è un bunker, ma un’oasi! Certo è un cammino: sofferenza e gioia. È il mio povero grazie! Ciao”
.

Ciao, padre Silvio e grazie a te!
Come ci ricorda la Parola di Gesù nell’Evangelo di oggi, anche noi, pensando a te ed alla tua luminosa testimonianza di vita e di ministero, sentiamo di rivivere la “pasqua” degli apostoli: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia» (Gv 16,20).

don Stefano Maria

Parma, 26 maggio 2022

(Il pdf di questo profilo è scaricabile da qui)


Profili di preti: don Franco Sandrini

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri e fino al settembre 2018, poi, come in questa pagina, da don Stefano Rosati.

Giovedì della III settimana di Pasqua
«Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato;
e io lo risusciterò nell'ultimo giorno»

(Gv 6,44) 

Oggi ha realizzato in sè la prima parola di Gesù, in attesa che Egli realizzi la seconda


DON FRANCO SANDRINI
(26 ottobre 1930 - 5 maggio 2022)
canonico onorario della Basilica Cattedrale

 

Don Franco SandriniSchivo e riservato, umile e misurato, la cui gentilezza di tratto e delicatezza di cuore erano un vero e proprio “abito” apprezzabile ed apprezzato da tutti, don Franco era nato in una storica famiglia di Traversetolo da Paolo ed Ines Togni il 26 ottobre 1930, terzultimo di cinque fratelli maschi. Sotto la guida di “un triumvirato di eccellenti coltivatori di vocazioni presbiterali”, gli arcipreti mons. Riccardo Varesi prima e mons, Mario Affolti poi, sempre accompagnato da vicino dall’allora cappellano don Giuseppe Celeste, entra in Seminario Minore. Insieme con lui, “innamorati della liturgia e del sacerdozio” dalla chiamata del Signore e dalla testimonianza dei pastori traversetolesi, ci sono altri giovani traversetolesi, quali mons. Walter Dall’Aglio e poi il vescovo Eugenio Binini. “Per approfondire la ricerca della verità”, don Franco ha l’opportunità di frequentare il Liceo presso l’Università Cattolica di Lovanio. Quindi, dopo essere tornato a Parma per seguire l’iter seminaristico della Teologia, viene ordinato presbitero dal vescovo Colli nella Cattedrale di Parma il 19 giugno 1955.

Già nei due anni precedenti era stato nominato insegnante nel Seminario Maggiore. Da allora – siamo nel 1953 – fino al 1995 alterna il ministero dello studio e dell’insegnamento. Studente, si laurea in Filosofia all’Università Cattolica di Milano nel 1957 e l’anno successivo all’Università Cattolica di Lovanio in Belgio e nel 1965 si licenzierà anche in Teologia alla Facoltà teologica di Venegono – Milano. Il suo insegnamento si svolge dentro e fuori le istituzioni della Chiesa: insegnante in Seminario Maggiore (1953-74); insegnante di filosofia al Collegio Alberoni di Piacenza (1974-80) e al Liceo S. Orsola di Parma (1980-95), nonchè di Religione al Liceo Ulivi di Parma (1980-95). Sarà anche impegnato come Assistente diocesano della FUCI maschile e femminile (1959-67).

In questo ambito educativo, soprattutto, per 47 anni (1963-2010) don Franco è stato il primo ed unico Direttore del Collegio Internazionale maschile Giovanni XXIII, fondato proprio mentre i cattolici piangevano la scomparsa del “papa buono”. Fu grazie alla sua intuizione se Parma, attraverso l’università, si aprì al mondo e schiuse le porte agli studenti stranieri. Centinaia sono i giovani, soprattutto africani, passati per il Giovanni XXIII. È orgoglioso il Collegio di quella sua qualifica: “internazionale”: l’aggettivo è ben marcato nel fregio, uno spicchio d’Africa, accostato all’Angiol d’or, simbolo della parmigianità. Per quasi mezzo secolo le stanze di via XX Marzo sono state la casa comune per camerunensi, ivoriani, ruandesi, oltre che per studenti del  Sudamerica, dell’Asia e dell’Est Europa. Con loro italiani di tutte le regioni. E per tutti don Franco è stato “un secondo padre per tanti di noi… in trasferta” – lo ricorda commosso uno studente. Che lo definisce “un direttore liberale per un collegio familiare”.

Accanto a questo ministero educativo, educatore don Franco non lo è stato di meno come prefetto della chiesa magistrale della Steccata. Dopo la morte del suo predecessore mons. Arnaldo Marocchi e per 28 anni (1983-2011), egli ha potuto mettere a frutto altri due “amori” della sua vita, “imparati” fin da ministrante in quel di Traversetolo, ossia la sobria cura della liturgia e la tenera devozioni mariana.

Dopo la chiusura del Collegio, è stato ospite in Seminario per la mensa, e, una volta ritiratosi dal servizio al Santuario della Steccata, è stato nominato Canonico onorario della Basilica Cattedrale (2011) e fino ad oggi è stato ospite di Villa S. Ilario in quel di Porporano.

Con una voce che si era fatta via via sempre più sottile fino ad essere a volte quasi impercettibile, quando gli chiesi: “Don Franco, qual è stata la filosofia della tua vita?” Quella volta rispose, pronto, anche se sempre con un filo di voce, come se stesse a muttire, laconico, ma non credo per scherzo: “in medio stat virtus!”. Mi sovviene ora questo frammento di memoria e ti rivedo, don Franco, nella sala comune di Villa S. Ilario, che allora ospitava anche mia madre, proprio al suo fianco. E ti ringrazio, perché di quelle parole del quinto capitolo del II libro dell’Etica Nicomachea di Aristotele, tu sei stato un esempio con la tua persona ed il tuo ministero. Se imprescindibile, per il filosofo, è la medietà: secondo l’ideale greco, infatti, la virtù è sempre misurata, moderata ed equilibrata, tanto più lo è stato per te, don Franco!

don Stefano Maria

Parma, 5 maggio 2022

(Il pdf di questo profilo è scaricabile da qui)


Profili di preti: don Giannino Pedersani

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri e fino al settembre 2018, poi, come in questa pagina, da don Stefano Rosati.

Mercoledì della IV settimana di Quaresima
«In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato,
ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita»

(Gv 5,24) 

Oggi il Signore ha chiamato a passare dalla morte alla Vita


DON GIANNINO PEDERSANI
(14 giugno 1928 - 30 marzo 2022)
già parroco di Rivalta e Stadirano

 

Don Gianni PedersaniAvendo don Giannino trascorso gli ultimi quattro anni (2018-22) come ospite, insieme ai confratelli, a Porporano, amorevolmente assistito dal personale e dalle suore di Villa S. Ilario, cui va tutta la riconoscenza della Diocesi, in apertura lascio ancora una volta la penna a mons. Domenico Magri, che lo aveva convinto a trasferirsi alla “Casa del Clero”, dopo essere stato a lungo suo confratello nella zona di Langhirano, e che lo ricordava come “un prete semplice, di campagna, in tutto, sottolineo in tutto dedito alla sua gente”.

Nato a Santa Maria del Piano il 15 giugno 1928 da Domenico e Cattabiani Maria, cresce all’ombra del campanile ed è un bambino quando entra in Seminario minore, “insieme” al suo compaesano, che in quell’anno ne diventa rettore, don Pietro Triani (1938). Passato al Maggiore, viene ordinato presbitero il 29 giugno 1951 nella Cattedrale di Parma dal vescovo Evasio Colli. Due giorni dopo e per i primi 4 anni è parroco a Vestana, nel Cornigliese (1951-55).

Nel 1955 torna nel suo comune di nascita, Lesignano, ma a Rivalta, cui dieci anni dopo, nel 1965, aggiungerà la cura pastorale anche di Stadirano. La prima è la parrocchia di nascita (e di sepoltura) del suo primo rettore di seminario, mons. Pietro Triani, mentre nella sua parrocchia di nascita, Santa Maria del Piano, dove don Giannino ha celebrato la sua prima Messa e dove ha voluto si tenessero le sue esequie, dal 1945 fino alla morte sarà parroco don Attilio Mori. Questi è il “capostipite” di un significativo gruppo di ben cinque preti lesignanesi, tutti di Santa Maria, che nella prima metà del secolo scorso vanno da don Dante Bonazzi (1921), comprendendo don Giannino appunto e don Gabriele Fridoletti (1933), fino a don Gabriele Pavarani (1938) e don Valerio Cagna (1943), che rivedo insieme, immancabili, alle sagre delle loro parrocchie. Io, che ero seminarista in una di queste, ricordo i racconti degli aneddoti di fede e vita paesana nella campagna di Santa Maria, dove la famiglia (anche quella di don Giannino) e la tradizione supportavano una proposta “incarnata” di vita cristiana e di vocazione. Ed è a questo proposito che per la prima volta e ripetutamente ho sentito parlare dell’Opera Vocazioni Ecclesiastiche (=OVE) e delle sue “zelatrici”, convinte e generose come le sorelle Pini, “signorine” e maestre che hanno accompagnato tutti questi ragazzi fino all’ordinazione.
Cui sono seguiti per don Giannino più di 70 anni di ministero, e di questi ben 63 nelle parrocchie del lesignanese. I più vecchi ancora ricordano che a Rivalta don Giannino era arrivato con il peso di un grosso mutuo, eredità del suo predecessore per gli ingenti lavori fatti alla chiesa, ma lui non si era perso d’animo. Si era inventato un “lavoro”, come hanno fatto tanti altri preti della sua generazione, che è quella di “benefici e congrue”. Anche nella nostra diocesi, non è un segreto, si contano alcuni di questi esempi. Proprio attraverso questo suo “lavoro”, speso nel campo delle assicurazioni, don Giannino aveva potuto non solo pagare i debiti delle parrocchie, ma soprattutto aiutare tante persone, giovani e famiglie bisognose. E i suoi parrocchiani di Rivalta e Stadirano anche oggi testimoniano lo abbia fatto sempre “nel nascondimento”.
Come non possono dimenticare la sua “socialità”, che lo vedeva ogni giorno frequentare la sua gente, con cui amava giocare a carte e guardare le partite. Questa stessa gente, i suoi parrocchiani di una vita, gli hanno voluto bene fino all’ultimo, apprezzando soprattutto la sua devozione alla Madonna, e con lui, ancora ieri al suo capezzale, hanno voluto pregare la Madre nell’ora della sua morte.

A Lei ti affidiamo, don Giannino: sì, era al tuo fianco nell’ora della tua morte, ora con la Parola che abbiamo accolto oggi, giorno della tua morte, ti auguriamo di essere passato dalla morte alla Vita. Ma ti chiediamo di aiutarci a non dimenticare mai, … nemmeno in questo tempo di Quaresima, che è in Lei e solo in Lei che Colui che è la Vita ha preso carne!

don Stefano Maria

Parma, 30 marzo 2022

(Il pdf di questo profilo è scaricabile da qui)


Profili di preti: don Giorgio Zilioli

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri e fino al settembre 2018, poi da don Stefano Rosati, tranno rare eccezioni, come questa.


DON GIORGIO ZILIOLI
(17 settembre 1933 - 24 maggio 1999)
parroco di Madregolo, Gaiano e “Casa della Carità”


Don Giorgio Zilioli

Don Giorgio Zilioli, nato a Parma il 17 settembre 1930 da una umile famiglia dei borghi, dopo i regolari studi presso il Seminario Vescovile cittadino, venne ordinato sacerdote da mons. Evasio Colli nel 1953.

 

Compiuto un breve periodo come cappellano nella parrocchia cittadina di Santa Croce, nel 1955 viene nominato arciprete della parrocchia di Madregolo.

Arrivato in un periodo nel quale il benessere era ancora un miraggio per la quasi totalità degli abitanti della frazione, il giovane parroco seppe subito distinguersi per la sua affabilità e per il suo essere a disposizione di tutti coloro che avessero bisogno di lui.

Non faceva differenza se una persona fosse o meno credente o frequentante, di ceto sociale elevato o basso, di cultura vasta o che sapesse appena leggere e scrivere: era una persona, e per questo degna di essere accolta, ascoltata, messa a proprio agio.

Tutte caratteristiche della personalità del giovane parroco, che gli permisero, nel tempo, di entrare nel cuore dei cittadini di Madregolo e anche di Collecchio, centro nel quale espresse molte delle sue capacità.

Infatti, oltre ad aiutare i confratelli sacerdoti della zona nella cura pastorale, da ricordare è il suo costante impegno nel mondo della cultura, cosa di cui non era certo solito vantarsi.

Uomo di profonda conoscenza artistico-letteraria, storico-filosofica e soprattutto musicale, per decenni insegnò a generazioni di collecchiesi, aprendoli al bello, presso la scuola media “D. Galaverna”, divenendone anche vicepreside e punto di riferimento per alunni, famiglie e insegnanti.

Da sottolineare, nel mondo della scuola, il suo impegno sindacale e il prestigioso incarico che ottenne, a metà degli anni Ottanta, come membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, organo istituzionale alle dirette dipendenze del Ministro della Pubblica Istruzione.

Assai nota, e tuttora viva, è stata la sua attività diretta nel mondo musicale. Collaboratore, fondatore e direttore di corali locali, tutte ancora attive, raggiunse l’apice con la direzione, tra gli anni Sessanta e Settanta, della prestigiosa “Corale Verdi” di Parma, che con lui varcò per fama i confini nazionali.

Ma in tutta questa poliedrica attività, il suo luogo preferito è stato sempre la sua parrocchia di Madregolo, che ha sempre continuato a guidare con un particolare riguardo soprattutto per anziani e ammalati, che sapeva ascoltare e consolare.

Da ricordare, nella sua attività pastorale, la cura dell’edificio sacro (rifacimento completo del tetto nel 1985) e la realizzazione, nel 1992, di un campetto polivalente nel lato nord della canonica per i bambini e ragazzi della parrocchia, che è ancora utilizzato per le attività oratoriali.

Nel 1996 ricevette dal Vescovo di Parma la cura anche della parrocchia di Gaiano e della attigua “Casa della Carità”, e assunse questo ulteriore impegno sapendosi conquistare la fiducia della gente sempre con la disponibilità al dialogo, all’ascolto, all’incontro. Era solito poi sostare molto presso gli ospiti della “Casa della Carità”, nella quale è ricordato con affetto, ricevere le persone e parlare con loro. E proprio lì la morte lo colse improvvisamente il 24 maggio 1999, giorno di Santa Maria Ausiliatrice, nella cappella, appena terminato di celebrare i riti sacri, nel pieno del suo apostolato.

Don Zilioli è stato nella sua missione uomo di fede sì, ma anche laico nel proporre, nelle sue varie attività, un modo di pensare libero, che desse a tutti il giusto spazio di espressione e di realizzazione, tramite la cultura in senso ampio, il rispetto reciproco, il progredire insieme, l’accoglienza.

Di fianco al Circolo “Primavera”, cui don Zilioli appoggiò da sempre la costituzione e di cui fu il primo presidente, dalla metà degli anni Ottanta fino alla morte, appoggiandone attività e suggerendo proposte, tra le quali piace ricordare l’iniziativa del raduno annuale degli “strajè”, le varie feste durante l’anno e il recupero delle tradizioni medioevali dei nostri luoghi, posti su una direttrice della via Francigena, l’Amministrazione Comunale nel 2009 ha intitolato a lui il piazzale che ancora è strutturato ad area verde.

A quasi novant’anni dalla nascita, la comunità di Madregolo lo ha ricordato di nuovo nel 2017, dedicando alla sua figura di parroco, musicista e guida spirituale un’iniziativa di commemorazione nel piccolo cimitero del paese, dove è sepolto, scoprendo una epigrafe in onore suo e della sua missione pastorale.

Cosi scrive in tale occasione don Walter Dall’Aglio, caro amico e confratello di ordinazione, in una lettera del settembre 2017 sul notiziario della nuova parrocchia di Collecchio, Madregolo, Lemignano e San Martino Sinzano:

"Siamo riconoscenti a tutti voi di questa iniziativa che dimostra quanto il ricordo di don Giorgio sia ancora tanto vivo, nel cuore di coloro che hanno avuto la gioia di conoscerlo. Noi suoi colleghi e coetanei abbiamo avuto modo di apprezzarlo per le particolari caratteristiche della sua poliedrica personalità. Era da noi tanto stimato e amato per la sua squisita ipersensibilità che dimostrava con noi in ogni circostanza.
Della nostra classe era l’unico che risiedeva in città, noi tutti venivamo dalla campagna; nei nostri confronti aveva un garbo e una delicatezza che ci conquistava.

Era dotato di una intelligenza straordinaria per cui era in grado di aiutarci nelle nostre difficoltà scolastiche e lo faceva sempre con tanta spontaneità, ma soprattutto nel campo artistico, dove eccelleva, in particolare nella musica che considerava come il demone benigno del cuore umano, la sua superiore capacità, non solo non la faceva pesare ma la metteva con semplice umiltà a servizio di tutta la nostra comunità.
La passione per la musica, che in lui sembrava innata, ha forgiato una personalità armonica, ricca, disponibile sempre a comunicare nel dialogo sincero, spigliato, gioioso con tutti senza avere preferenze di persone, soprattutto senza pregiudizi di carattere religioso, ma con una apertura mentale, secondo le direttive del Concilio Vaticano II. Vi siamo sinceramente riconoscenti per questo vostro significativo ricordo. 

Noi, suoi coetanei e colleghi cercheremo di seguire, di imitare, oggi, il suo esempio, la sua testimonianza credibile e convincente di una squisita sensibilità umana e di grande fede vissuta nella serenità e nella gioia.

Grazie, don Giorgio, di tutto quanto ci hai donato col tuo smagliante sorriso, con le tue sublimi note musicali!!
"