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Profili di preti: don Raffaele Dagnino

Profili di preti è una sezione dedicata alla memoria grata di presbiteri defunti, sezione costruita sui testi scritti da don Domenico Magri in alcuni libri.

DON RAFFAELE DAGNINO
21 ottobre1905 - 14 novembre 1977

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Passano gli anni, passano i decenni, ma don Dagnino è ancora sulla bocca di tanti. E come si fa a dimenticare un prete dalla personalità così forte? Ha segnato un’epoca della Diocesi e ha traghettato non solo gli altri ma anche se stesso da un pre- Concilio rigido e ingessato a un post-Concilio ardente ed esuberante. La sua è stata una voce chiara e senza sottintesi che coinvolgeva tutti, anche i “piani alti” della Diocesi, per la franchezza che a volte sapeva di profetico e non faceva sconti a nessuno. Sembrava un “Savonarola” in formato locale. Quanto sarebbe ancora utile oggi un prete così! Ha avuto la saggezza di ritirarsi dalla Parrocchia al momento giusto.Il suo funerale è stato un trionfo: dopo il funerale di Padre Lino, in Oltretorrente non ci si ricordava di un funerale così imponente e commosso per un sacerdote.

- nato a S.Secondo il 21 ottobre1905
- servizio militare a Roma nel 1925-1926 prima di entrare in Seminario, proveniente dalla facoltà di medicina.
- ordinazione sacerdotale: 9 luglio1933
- laureto in scienze naturali nel 1941
- vice-rettore del Seminario Maggiore: 1932-1939
- assistente diocesano Unione Uomini: 1940-1942
- assistente provinciale ACLI: 1946-1966
- parroco a S. Maria Maddalena: 1939-1943
- parroco a S. Giuseppe: 1943-1977
- ritirato dalla Parrocchia nel settembre 1977 e nella comunità presbiterale di Ognissanti-S. Maria del Rosario
- deceduto improvvisamente il 14 novembre 1977 alle Piccole Figlie



Il mio ricordo di don Raffaele Dagnino a 30 anni dalla morte

Quando ero ancora in Seminario avevo sentito parlare di don Dagnino, che era stato un vice-rettore molto severo ed esigente nel fare osservare il regolamento.
Appena ordinato sacerdote, nel 1954, sono stato mandato a Fornovo come cappellano di don Giuseppe Malpeli, il quale a sua volta anni prima era stato cappellano di don Dagnino. A Fornovo ho avuto modo di ascoltare da don Malpeli dei frequenti riferimenti alle caratteristiche temperamentali di don Dagnino e al suo stile pastorale. Don Malpeli mi ha sempre dimostrato stima e ammirazione per don Dagnino, dal quale deve avere imparato anche il rigore morale, la passione pastorale e la severità delle direttive, che io avevo così occasione di sperimentare a Fornovo giorno per giorno. Per un certo verso mi sento pastoralmente "nipote" di don Dagnino, anche se ben lontano dalla sua personalità e diverso dal suo carattere e dal suo tipo di sensibilità. Ma appunto per questo mi sono molto arricchito a contatto con lui.

Don Malpeli mi parlava anche della famiglia di don Dagnino e cioè dei genitori e della sorella Carmela, che vivevano in canonica con lui.
Ricordo sempre l'episodio gustoso, che mi ha raccontato, della pentola. Don Malpeli, giovane e con tanto appetito, era abituato in famiglia a Berceto ad andare in cucina a vedere che cosa bolliva in pentola. Appena arrivato in canonica a S. Giuseppe, pensava di poter fare la stessa cosa. La prima volta gli è andata bene nel sollevare il coperchio e ha visto che cosa si stava preparando per il pranzo. Il giorno dopo la Mamma di don Dagnino aveva però provveduto a mettere due coperchi e così don Malpeli in questo modo ha imparato la lezione.

Il mio primo impatto con don Dagnino l'ho avuto quando nel marzo del 1958 sono diventato parroco di Ognissanti e suo confinante. Non è stato un impatto molto morbido, per via del Teatro Pezzani, costruito proprio a ridosso della Chiesa di Ognissanti, ma preso in consegna dalla Parrocchia di S. Giuseppe e inaugurato circa un mese dopo il mio ingresso tra i mugugni dei parrocchiani di Ognissanti che si erano sentiti esclusi dalla gestione del teatro, dopo che si era partiti insieme ed avevano raccolto anch'essi delle offerte per la costruzione.
Ma io ero troppo giovane (avevo 26 anni) e inesperto, ero appena arrivato, non c'ero alla nascita del progetto e quindi non ho preso posizione.

Tutto questo non non mi ha impedito, nonostante la differenza di età, di intrattenere un rapporto di grande intesa con fiducia reciproca, che ha avuto il suo culmine negli ultimi due mesi e mezzo della sua vita, che lui ha trascorso in S. Maria del Rosario con noi preti e che mi hanno tanto arricchito.
Negli anni della mia vita ad Ognissanti e a S. Maria del Rosario, al mattino presto c'era l'occasione per le confidenze sui problemi pastorali delle nostre due Parrocchie, sulla vita della Diocesi e della società, perchè lui, lo sappiamo bene, era un attento osservatore e un severo "opinionista": io prendevo la bicicletta e lo andavo a trovare nel suo studio nel mezzanino della canonica. Quante cose ho imparato da lui!

Gli facevo anche da autista in Diocesi e anche fuori Diocesi: e intanto si parlava... Era soprattutto appassionante il racconto delle sue vicende drammatiche durante la guerra per salvare i suoi parrocchiani e i rischi che correva nell'affrontare senza mezzi termini anche il comandante tedesco, che una notte lo ha mandato a prelevare da due soldati, ma per parlare poi con lui di Bibbia.

Posso dire che ho seguito il suo "travaglio di parto" nell'abbandonare la classica mentalità preconciliare, per abbracciare le più avanzate interpretazioni ecclesiali del Concilio e per questo accusato di giovanilismo, lui, ormai anziano e che era partito da tanto lontano: chi l'avrebbe mai detto, dopo averlo conosciuto come era negli anni '40 e '50?
Ma proprio questa capacità di rimettersi in gioco, dimostra la sua onestà intellettuale e spirituale davanti a Dio e davanti alla propria coscienza: è stato un grande.

Sapete che cosa mi viene da dire? Quanto ci farebbe comodo oggi don Dagnino, se fosse ancora qui, lui un tipo così sanguigno e ruvido, con i suoi discorsi profetici! Erano discorsi spesso duri e oltretutto sgradevoli, sembrava un "Savonarola" in formato locale, ma sempre supportati dalla testimonianza di una vita fedele alla Chiesa e al suo sacerdozio.
Dal 1977 ad oggi sono successe tante cose nella Chiesa, nella società italiana e nel mondo: ogni tanto mi chiedo che cosa direbbe don Dagnino, che giudizio darebbe delle vicende, a volte così sconcertanti, che ci hanno coinvolto in questi 30 anni. Come era acuto, tagliente ed evangelico nei suoi giudizi sulle vicende ecclesiali e sociali ricorrenti! Come ci manca!
E ci manca anche il suo cuore grande grande. Aveva l'orecchio teso prima di tutto ad ascoltare il grido dei più deboli e poveri, che erano così numerosi, soprattutto nel primo dopoguerra, nella sua Parrocchia che è il baricentro popolare e schietto dell'Oltretorrente, una Parrocchia che lui percorreva continuamente in lungo e in largo in sella alla sua bicicletta (ah, la pastorale della bicicletta!).

Devo dire che è stato molto onesto nel rendersi conto che non poteva più fare il parroco in maniera efficiente e per questo si è ritirato dalla Parrocchia, provando una pena indicibile, ma senza tentennamenti: è stato uno strappo troppo doloroso per lui. Ho sempre pensato che questo distacco ha influito negativamente sulla sua salute. (Parole captate mentre telefonava: "Ma come vuoi che io stia? Ho un male dentro, un peso grosso qui nel cuore: è la Parrocchia di S. Giuseppe!")
E' stato molto saggio come prete a cercare, non una sistemazione qualsiasi per una vita tranquilla da pensionato, ma a cercare invece una comunità di preti, per poter dare e ricevere e vivere la dimensione comunitaria, che dovrebbe essere connaturale per tutti i preti. E' stato felice, ma di una felicità inesprimibile, nel sentirsi accolto nella nostra Comunità: deve essere stata l'ultima grande gioia della sua vita terrena.
E si è messo subito a praticare quella esperienza pastorale che gli era particolarmente congeniale: la cura e la visita assidua dei malati.

In più devo dire che quando è venuto con noi, ho conosciuto un don Dagnino cambiato dal punto di vista temperamentale: non più austero e severo, ma perfino più dolce. Ha contribuito a ciò anche la frequentazione del fratello saveriano Padre Amato, che certamente gli ha fatto riprendere contatto con i ricordi di famiglia, che fanno sempre bene al cuore. 
Infatti in quei due mesi e mezzo, P. Amato veniva spesso a cenare con noi in Via Isola e mentre noi preti uscivamo dalla sala da pranzo, lui rimaneva a conversare con il fratello don Raffaele. Un dialogo certamente recuperato dopo anni. Infatti, me lo ha confidato lo stesso P. Amato: in precedenza, quando si incontravano per strada (e avveniva solo per caso!) uno diceva - oh! - e l'altro rispondeva - oh! -, ma non si fermavano a parlare.

Il giorno giovedì 10 novembre si è sentito male. Io ero agli Esercizi spirituali e sono ritornato immediatamente, anche perchè gli era morto il fratello Vincenzo veterinario. Il suo medico, subito chiamato, pensava si trattasse di dolori di artrosi.
Sabato mattina 12 ha voluto farsi accompagnare da me al funerale del fratello a Ciano d'Enza, ma non si è sentito di concelebrare. Domenica 13 è rimasto in casa e gli abbiamo portato la Comunione. Al pomeriggio ha ricevuto la visita della sorella suora Andreina e di altre persone che gli hanno fatto buona compagnia.
Lunedì mattina, 14 novembre verso le 6,30 gli ho dato un tè caldo dopo che aveva trascorso una notte insonne. Dietro consiglio del suo medico, prima delle 8 l'ho portato alla Casa di Cura Piccole Figlie: lui teneva in mano il Breviario con dentro il suo testamento. E' stato un tragitto inquieto e pervaso da preoccupazione per ambedue. Davanti alla camera che gli era stata assegnata ha messo una mano sulla spalla dell'infermiera dicendo: "Ma guarda un po', sono sempre andato all'Ospedale per gli altri, questa volta sono venuto per me".

I funerali. Dopo la Messa un corteo senza fine muove da Borgo S. Giuseppe fino al cimitero della Villetta.
Io mi sono subito recato nella Chiesa di Ognissanti per celebrare la Messa delle 8, ma prima delle 9 ero di nuovo in Casa di Cura. L'ho trovato morto, steso sul pavimento. E c'era il Breviario sul tavolino, aperto sulla preghiera di Lodi.
Sabato mattina, mentre facevamo colazione assieme al compianto don Antolini, prima di andare al funerale del fratello, a un certo punto e improvvisamente ha puntato il dito verso di me e mi ha detto: "Sappi che i Dagnino non dimenticano!"
Questa frase mi accompagna sempre e me la sento come una carezza. Sono sicuro che don Dagnino, prete di parola, continua a ricordarsi di me presso Dio.
E questo non è poco, dopo trent'anni, per me che sono ormai un prete vecchio. Se non lo sapete, ho superato gli anni di don Dagnino.
E purtroppo non posso dimenticare quel mattino di lunedì 14 novembre 1977, quando l'ho visto steso bocconi sul pavimento della camera della Casa di Cura.
Post scriptum: Mi piace aggiungere la confidenza di un avvocato che recentemente mi ha ricordato la sua esperienza di chierichetto di don Dagnino. Ha imparato, seguendo don Dagnino nei funerali, a non avere paura di vedere i morti e soprattutto, nelle benedizioni delle case, ha ammirato la sua attenzione concreta e operativa per le famiglie povere (allora erano tante!) della parrocchia di S.Giuseppe. Questo amore ai poveri lo ha sensibilizzato anche come avvocato.

(tratto da ““I miei preti...i nostri pretiI”, I edizione, di don Domenico Magri - Grafica Langhiranese 2008)